Intervista a Paolo Lago autore del saggio di ecocritica “La natura ostile. Visioni e prospettive nella narrativa contemporanea”.
Terracqua edizioni 2023
a cura di Antonia Santopietro
Una storia può creare immaginari e fornire prospettive da cui osservare i fenomeni del mondo, in che modo, secondo te le storie di cui ti sei occupato nel tuo libro possono offrire traiettorie per riflettere sul rapporto tra umano e natura?
Potrei dire che le storie di cui mi sono occupato nel libro offrono degli immaginari ‘militanti’ e ‘resistenti’, nel senso che pongono in primo piano le problematiche più stringenti di quello che chiamiamo “Antropocene”. E non solo le storie fantastiche, fantascientifiche o distopiche. Matteo Meschiari, nel suo saggio Antropocene fantastico, afferma che “il libro che avete in mano è un romanzo dell’Antropocene se almeno un personaggio o una qualche scena centrale mettono in crisi un sistema identitario tradizionale verso una nuova idea di «persona», umana o non umana” (M. Meschiari, Antropocene fantastico. Scrivere un altro mondo, Armillaria, Milano, 2020, p. 27). Secondo lo studioso un romanzo dell’Antropocene dovrebbe presentare “ibridi, mutanti, teriomorfi, simbionti, megafauna, alieni, materie instabili” (ibid.). Ebbene, io credo che molti romanzi possano aprire prospettive interessanti sul rapporto dell’umano con la natura anche senza la presenza di creature fantastiche o aliene o, comunque, estremamente diverse rispetto all’agire umano. Ad esempio, secondo me, un romanzo come Sirene di Laura Pugno, che mette in scena appunto dei personaggi che ben si attagliano al brano sopra citato di Meschiari e Eclissi di Ezio Sinigaglia, in cui non sono presenti scenari postapocalittici e neppure esseri fantastici, possano offrire allo stesso modo spunti di riflessione sui rapporti uomo-natura e porre in campo problematiche stringenti. In Eclissi, il protagonista Akron, l’architetto triestino che si reca nell’isola del Nord Europa per assistere a una eclissi totale di sole, entra in contatto con una natura estrema che sconvolge le sue ‘tradizionali’ percezioni di essere umano. Il paesaggio estremo mette in moto un ricordo personale, che egli credeva seppellito per sempre nella sua memoria e attua in lui, se così si può dire, una vera e propria metamorfosi. Il basalto di cui è composta l’isola, nel momento della sua morte, lo avvolge fino a trasformarlo completamente: sembra che il personaggio, alla fine, entri in sinergia con la natura estrema dell’isola trasformandosi egli stesso in basalto. Se, perciò, i romanzi che ho analizzato nella prima parte del libro, quelli eco-distopici e post-apocalittici, mettono in scena il rapporto uomo-natura in modo problematico, come uno scontro, quelli che ho inserito nella seconda parte, non distopici, affrontano lo stesso rapporto come un’unione, non comunque meno problematica, di energie. L’umano si fonde con la natura. Ma si noti bene: a fondersi con la natura sono comunque sempre dei personaggi più ‘sensibili’ di altri, degli outsider che della natura hanno una concezione diversa rispetto ai canoni imposti da un capitalismo avanzato che non esiterebbe ad annientarla in nome di un maggiore profitto: ecco quindi Akron di Eclissi, ma anche Bernardetta di Gli oscillanti di Claudio Morandini, Patty la Pianta e gli attivisti ambientali di Il sussurro del mondo di Richard Powers, Helen di Io e Mabel di Helen Macdonald, Jon il giovane moldavo che, a differenza dei ‘capitalisti’ Draghi, rispetta la natura in Violazione di Alessandra Sarchi. Anche le storie che non problematizzano in forma immediata il rapporto dell’uomo con la natura, come quelle che mettono in scena mondi eco-distopici, possono spalancare di fronte ai nostri occhi universi attraversati da sconvolgimenti ma anche da incredibili resistenze e ‘militanze’, sia di singoli che di intere comunità.
Il filosofo ambientalista australiano Glenn Albrecht, ha coniato il termine “solastalgia” per indicare quello stato di sofferenza psichica derivante dalla preoccupazione per gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici. Cosa ne pensi in relazione alle storie che hai proposto nel tuo libro, ci sono tracce di questa idea?
Potrei intravedere tracce di questa idea in Violazione di Alessandra Sarchi e in Io e Mabel di Helen MacDonald. Nel primo romanzo, il personaggio di Alberto, che decide insieme alla moglie di acquistare una casa nella campagna bolognese dall’imprenditore senza scrupoli Primo Draghi per portare la sua famiglia a vivere lontano dall’inquinamento cittadino, a un certo punto si rende conto che la sua è una fuga privata, individuale. Quando suo figlio Filippo, ancora un bambino (portatore, perciò, di una prospettiva ‘altra’ e disincantata), afferma che a causa del cambiamento climatico e dell’inquinamento l’umanità si estinguerà presto, Alberto non può fare a meno di pensare che non esiste “una via di fuga che duri più di una generazione. Questa è la forma di resistenza minima da opporre al mondo che lo circonda” (A. Sarchi, Violazione, Einaudi, Torino, 2012, p. 208). Successivamente, Alberto guarda in televisione un servizio sull’attuale e stringente problema della siccità nel quale si afferma che l’area del Mediterraneo è destinata alla desertificazione già dal 2070 e che “il mondo come l’avete conosciuto non esisterà più” (ivi, p. 263; una frase simile viene pronunciata, mi sembra, nel film apocalittico 2012 di Roland Emmerich, del 2009). Alberto pensa che “il 2070 è dopodomani” (ivi, p. 264) e che la vita che vivrà suo figlio sarà molto diversa da quella che ha vissuto lui. Penso che in questo caso si possa parlare di “solastalgia” ma il dramma del personaggio, causato dalla sua sofferenza psichica derivante dalla preoccupazione per gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici, risiede nella consapevolezza che non può esistere una resistenza globale e comune di fronte a ciò che sta succedendo, ma solo tante e spezzate fughe private e personali. Riccardo Donati, recensendo Violazione, per descrivere la casa acquistata da Alberto e dalla sua famiglia, ha parlato proprio di “pezzetto di Natura-bunker privata e manipolabile” (R. Donati, La grande astrazione. Su «Violazione» di Alessandra Sarchi, in Ecosistemi letterari. Luoghi e paesaggi nella finzione novecentesca, a cura di N. Turi, Firenze University Press, Firenze, 2016, p. 173). Di fronte alla tragedia, ognuno pensa a salvare sé stesso e il suo nucleo famigliare più stretto: il trionfo dell’egoismo e della frammentazione dell’esistenza. Del resto, cos’altro dovremmo aspettarci all’interno di un sistema come quello capitalista, in cui vigono gli interessi del singolo e in cui homo est homini lupus? Mi viene in mente il personaggio di Domenico, nel film Nostalghia (1983) di Andrej Tarkovskij, che viene rinchiuso in manicomio per aver tenuta segregata la sua famiglia per sette anni per paura della fine del mondo imminente. Uscito di manicomio, il ‘folle’ Domenico organizzerà una manifestazione in cui chiama a raccolta altri ‘folli’, ‘liberati’ in seguito alla legge Basaglia, e in cui griderà forte la necessità che i cosiddetti ‘folli’ e i cosiddetti ‘normali’ tornino uniti. Solo così – dice – in una dimensione comunitaria e non più individualistica si potrà salvare il mondo che è già “sull’orlo della catastrofe”.
In Io e Mabel, a soffrire, per certi aspetti, di “solastalgia”, è Helen, l’io narrante che corrisponde con la stessa autrice. Anche in questo caso si può pensare a un passaggio da una dimensione privata a una globale: il lutto privato in cui è scivolata Helen a causa della scomparsa del padre sembra quasi corrispondere con un lutto che investe il mondo intero (o comunque l’intera Inghilterra), investito da alluvioni che spazzano strade e sommergono paesi. Helen riuscirà a riemergere dalla condizione di estrema depressione in cui è caduta grazie alla presenza dell’astore Mabel, un essere ferino e in sinergia con la natura. Anche quando si trova in un bar a leggere un giornale (elemento che funge da mediatore della paura di un imminente disastro climatico esattamente come la televisione in Violazione) nel quale si trovano “notizie orribili” a proposito di “ecosistemi sull’orlo del disastro” (H. MacDonald, Io e Mabel, trad. it. di Anna Rusconi, Einaudi, Torino, 2016, p. 155), la protagonista viene colta da un senso di angoscia ancora più grande: è l’intera società, anche da un punto di vista economico-sociale (la società neocapitalistica, distruggendo la natura, distrugge sé stessa), a disgregarsi. Intorno a sé vede infatti delle persone che si accalcano di fronte a una banca per ritirare i propri risparmi. “Tutto cade a pezzi”, un mondo intero viene sconvolto ma la vicinanza di Mabel la salva ancora una volta dal precipizio dell’angoscia e dello smarrimento perché, in fin dei conti, stando con l’astore, lei stessa entra in sinergia con una Natura che, leopardianamente, annienta in modo automatico qualsiasi forma di antropizzazione selvaggia.
Direi quindi, per concludere, che la “solastalgia” che investe Alberto e Helen è legata a un senso di smarrimento di fronte all’impossibilità di poter intervenire, a livello globale e comunitario, per risolvere le problematiche che insorgeranno in seguito ai cambiamenti climatici in atto. Se Alberto si perde nella sua intima e privata angoscia, Helen, grazie a Mabel, riesce invece a stipulare una sorta di patto con la Natura più ostile (quella leopardiana, con l’iniziale maiuscola), entrando in sinergia con essa.
Amitav Ghosh ne “La grande cecità” parla di una certa difficoltà del romanzo di raccontare i cambiamenti climatici, rispetto alle letture che proponi nel libro, dove il rapporto umano/non-umano oscilla tra il sentimento di desolazione e disillusione e la meraviglia, sei d’accordo con questa idea? quali codici narrativi a tuo avviso possono essere usati?
Se ben ricordo, Amitav Ghosh parla della difficoltà di incontrare, in un romanzo che non appartenga al genere della fantascienza, dell’horror o del fantasy, una scena in cui un personaggio, mentre percorre una strada, si imbatte in un fenomeno meteorologico estremo. Quindi, direi che i romanzi eco-distopici, appartenenti ad un genere che si avvicina alla fantascienza post-apocalittica, riescono benissimo a raccontare i cambiamenti climatici. Qualcosa, là fuori di Bruno Arpaia, in questo senso, mi sembra l’esempio più significativo all’interno della narrativa italiana contemporanea. Resta la difficoltà di raccontare tali eventi estremi da parte di romanzi che non appartengono a questo genere. Ma, come affermo nel libro, alcuni codici narrativi riescono meravigliosamente ad oltrepassare questo scoglio. Pensiamo al modo narrativo del ricordo, allontanato nella storia, e della narrazione autobiografica. Riguardo al primo, mi viene subito in mente Eclissi di Ezio Sinigaglia. Lo scrittore riesce perfettamente a descrivere, seppure proiettato in un tempo lontano dalla stringente emergenza climatica, il 1738, un evento estremo. E descrive non il modo in cui un personaggio incontra tale evento mentre percorre una strada, come afferma Ghosh, ma il modo in cui non lo incontra. Il vecchio Gunnarson, infatti, si è salvato dalla tromba marina che ha distrutto il suo villaggio e ucciso tutti i suoi compaesani perché si era allontanato per seppellire il suo cane. E allora si potrebbe anche affermare che, grazie alla sua pietas nei confronti di un animale, grazie ad una sinergia maggiore con la natura, è riuscito a sottrarsi alle manifestazioni più distruttive di quella stessa natura. Se, invece, penso al modo narrativo autobiografico non posso non ricordare ancora una volta Io e Mabel. Quando Helen descrive il “lutto” generalizzato che colpisce l’intera Inghilterra (cioè eventi metereologici estremi e alluvioni) e il possibile sgretolamento dell’assetto economico e sociale a cui ho fatto riferimento nella risposta precedente, sembra di trovarci di fronte ad un romanzo eco-distopico. Invece no, quel sentore di apocalisse e distruzione merge da pagine autobiografiche in cui la scrittrice ha immerso tutta sé stessa, tutto il suo dolore e la sua depressione in modo molto crudo e realistico. Perciò penso che il romanzo, se si impegna, se riesce ad essere all’altezza dei duri tempi dell’Antropocene che stiamo vivendo, anche se non appartiene al genere della fantascienza, dell’horror o del fantasy, riesca bene a tematizzare realisticamente la drammaticità che avvolge il mondo contemporaneo. E potrei riuscire a trasmetterla anche io adesso, questa angoscia, al di fuori di una narrazione romanzesca, mentre sto rispondendo alla tua domanda: sto scrivendo le mie risposte al computer e fuori ci sono 36 gradi (abito sul mare), in certe zone della pianura padana si toccano anche più di 40 gradi e in montagna, a mille metri d’altezza, ci sono 32 gradi. Distopia? Fantascienza? Siamo vicini alle desertificazioni dell’anno 2070? Macché, è la dura e pura realtà di oggi, 24 agosto 2023.
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immagine in copertina: The fly agaric fungus (Amanita muscaria): two fruiting bodies. Watercolour, 1892. Fonte: https://wellcomecollection.org/works/q5nseu7u