Sulla scrittura, dialogo con gli scrittori: Rubrica Tips di Scrittura
Filippo Tuena è autore di saggi di storia dell’arte e di romanzi. Tra i suoi libri: Tutti i sognatori, Super Premio Grinzane-Cavour 2000; Le variazioni Reinach, Premio Bagutta 2006; Michelangelo. La grande ombra, 2008; Stranieri alla terra, 2012. Ha inoltre curato Robert F. Scott. I diari del Polo, 2009 e il fotografico Scott in Antartide, 2011. Ultima pubblicazione Le galanti, Il Saggiatore 2019
Biografia completa su https://it.wikipedia.org/wiki/Filippo_Tuena
Sito ufficiale: https://digilander.libero.it/filippotuena
Quali ritieni possano essere i segreti, tecnici e non, fondamentali per la scrittura?
Difficile parlare di segreti della scrittura; nel momento in cui li metti in pratica si manifestano alla lettura. L’attenzione al vocabolario; l’attenzione alla sintassi. Di solito queste due cure consentono di realizzare una buona pagina. Non mi piacciono le pagine superflue. Ecco: domandarsi sempre se quel che si sta scrivendo sia necessario. Grande economia e grande sincerità. È così facile riconoscere pagine ispirate e pagine sciatte. Non è soltanto una questione di vocabolario; è proprio il percepire una luminosità differente, qualcosa che s’irradia sulla pagina o meglio, dalla pagina, e si trasferisce nel lettore. È un’alchimia difficilmente realizzabile ma quando accade, è bellissima.
Scrivere aiutandosi con uno schema o in modo libero?
Io ormai non ho schemi. Vado assolutamente in maniera imprevedibile. Anzi, pretendo che la scrittura mi conduca; le concedo margini di libertà praticamente infiniti.
Quante ore al giorno è bene scrivere?
Finché la scrittura funziona. Può spegnersi dopo pochi minuti o proseguire per ore. Di solito se mi accorgo che non funziona smetto subito e faccio altro. È raro che emerga una buona pagina dopo pagine mediocri. Le cose scadenti contagiano quelle buone. Se non funziona, non insisto.
Si corregge durante o solo alla fine?
Le correzioni vengono quando capita. Se si rilegge durante la stesura, si corregge durante la stesura; se si rilegge a fine stesura, si corregge a fine stesura. È vero che nelle correzioni intervengono anche i tagli. Ed è ragionevole tagliare a fine stesura, proprio come atto terminale; si valuta quello che è necessario – e si tiene – e quello che è superfluo – e si taglia. È un processo che non puoi fare mentre ancora il libro è in fieri; bisogna avere il quadro complessivo sott’occhi. In corso d’opera correggi i refusi, gli errori di sintassi. Insomma, le distrazioni. Poi, certo, se ti accorgi che pagina 40 non funziona è inutile star lì a limarla, a correggerla, a modificarla. La si cancella e si ricomincia da capo, in tutt’altra maniera. A volte si sa perfettamente che certi capitoli non funzionano ma li si tiene come puntello, come raccordo. Bisogna avere una certa dose di autostima per sapere che prima o poi la soluzione si troverà. Occorre tempo. Bisogna concederselo.
Volendo definire un metodo efficace quale ti sentiresti di proporre per la narrativa?
Io ormai pratico un tipo di narrativa abbastanza singolare che consiste nel rielaborare situazioni preesistenti, autobiografiche o storiche. Non invento nulla. Dunque ho un metodo funzionale e consiste nel raccogliere il materiale in un primo momento e scrivere soltanto dopo aver elaborato quel materiale. Ne ho bisogno perché in questo modo posso esercitare la memoria. E si tratta di una memoria selettiva che privilegia alcuni aspetti a discapito di altri. M’interessa operare queste scelte attraverso quel che sopravvive della mole delle ricerche. Se sopravvive presumo che sia importante; se svanisce gli attribuisco poca rilevanza. Ci rinuncio senza rimpianti.
Come si interagisce e quando con un editor?
In fase di scrittura non consulto nessuno. Non l’ho mai fatto neppure quand’ero alle prime armi. L’unica persona alla quale sottoponevo 5 o 10 pagine era Pontiggia. Stavo a sentire le sue osservazioni che si limitavano essenzialmente ad affermare: “Hai trovato la lingua. Non hai trovato la lingua.” Non c’era bisogno di altro. Sulle bozze ho lavorato invece con diversi editor e con ciascuno di loro bisogna instaurare un rapporto funzionale al miglioramento del testo scritto e, se possibile, anche un rapporto di amicizia. Bisogna che l’editor conosca bene il tuo modo di lavorare. In prima lettura deve prendere dimestichezza con te e con il testo e dunque sono
abbastanza restio a apportare modifiche che può suggerirmi. Tendo a dirgli: aspetta. C’è bisogno di stabilire una stima reciproca. Direi che dopo la prima lettura il rapporto s’è stabilito, ci si conosce meglio e dunque le modifiche che l’editor propone quasi sempre accompagnano e migliorano il testo e la stima che acquisisce mi porta ad ascoltarlo e a ritenerlo autorevole. Ascolto sempre con grande gratitudine le correzioni di carattere lessicale; per contro quasi mai opero modifiche strutturali. Ma raramente mi vengono proposte.
Quali consigli daresti a un esordiente?
Molta umiltà. E prima che il libro esca andare nella libreria più grande della propria città e provare a contare, anche con grande approssimazione, la quantità di titoli esposti: 10.000? 30.000? 50.000? più sono e più si percepisce la marginalità dell’atto di pubblicare. Sono abbastanza contrario alle presentazioni a raffica. Ogni presentazione tende a essere la ripetizione della precedente e produce cliché poco attraenti. Farne poche e molto distanziate e molto
differenziate. Non prepararsi ed essere sempre pronti a saper rispondere in maniera imprevista alle sollecitazioni del presentatore. Non ripetersi. Non trasformare un evento che dovrebbe essere in qualche modo unico nella stanca ripetizione di un’abitudine. E ricordarsi: ogni presentazione ingigantisce un poco l’ego dello scrittore. Ecco, è un pericolo da evitare assolutamente.
Scrivere a mano o al PC?
Prendo appunti a mano ma scrivo rigorosamente al computer.