ANTOLOGIA DEL QUOTIDIANO:
Raccolta di narrazioni brevi su ZEST
TERAPIA CLONICA
Racconto di Paolo Risi
ETTORE (29 maggio 2017)
Ettore il nano entra nel minimarket.
Ha gli occhi bassi.
Prende un cesta, di quelle rosse con la maniglia, e inizia a esplorare le corsie. Passa davanti al banco delle carni.
Il macellaio lo saluta ma Ettore non risponde.
Il nano borbotta. Non è una novità. Lo fa in continuazione, ma questa volta è diverso. Sembra disorientato.
Svolta nella corsia delle bibite gassate e si avvicina a una donna anziana, infagottata in un vestito marrone, una specie di pastrano che le arriva alle caviglie. Ettore accosta le punte delle scarpe a quelle della donna e inizia a parlarle di autobus, di come a lui piacciano quelli della Mercedes, di come siano belli e veloci, in particolare il nuovo Tourismo, che è lungo quasi quattordici metri...
“A te piacciono gli autobus, signora?”
“Si, mi piacciono molto” sussurra la donna abbozzando un sorriso. Però la verità è che si sente in imbarazzo. Prova a svicolare, ma un attimo prima di deviare verso l'uscita Ettore le si para davanti.
Difficile intuire quello che sta per accadere.
L'espressione congestionata del nano si trasforma progressivamente in un'ilarità forzata.
“Ti faccio un regalo, signora” dice Ettore prima di infilarsi le dita in bocca.
Il nano sembra cercare qualcosa, come quando si esplora il fondo di un cassetto. Le dita fremono, provocano dei singulti profondi, poi di colpo si quietano. Ettore estrae dall'interno del cavo orale un oggetto traslucido, che sembra la parte carnosa di un mollusco.
Adesso l'anziana signora è incuriosita: decide di osservare con più attenzione, flette la testa e sbircia al di sopra degli occhiali.
Ettore regge sul palmo della mano una dentiera ingiallita.
Ora il fastidio e la titubanza, svaniscono e si trasformano in disgusto.
La donna fa un balzo all'indietro e inizia a correre lungo la corsia delle bibite gassate, inciampando nei lembi del vestito, emettendo delle grida strozzate, simili al pigolio di un volatile.
Un commesso che ha assistito alla scena cerca di fermarla e di tranquillizzarla, ma la signora è completamente fuori di sé.
Spintona il ragazzo per aprirsi un varco verso le porte scorrevoli.
Nel frattempo il nano è a metà del corridoio.
Il commesso gli si avvicina e gli chiede di rimettersi la dentiera. Ettore obbedisce. Dal fondo del magazzino appare Serena, la cassiera più giovane e carina del minimarket.
SERENA (6 giugno 2017)
Il direttore ha convocato nel suo ufficio – una scrivania piazzata in un angolo del magazzino – la più giovane e carina delle cassiere.
Alle sette e trenta il minimarket è ancora chiuso: Serena è costretta a entrare dall'ingresso sul retro, quello riservato ai fornitori. Davanti al portone prende uno fazzoletto di carta dalla borsa e inizia a togliersi il rossetto.
Il direttore, che tutti i dipendenti chiamano signor Claudio, la sta già aspettando nella sua postazione di comando, attorniato da pile di scartoffie e documenti contabili.
Nella penombra spicca la cravatta sgargiante dell'uomo, una striscia di tessuto con sopra improbabili disegni floreali. Il nodo è allentato e penzola sopra la camicia a maniche corte.
“Vieni Serena. Attenta a non sbattere contro i bancali” dice il direttore con voce melliflua.
“Buongiorno signor Claudio. Se non le dispiace vado a prendere un caffè alla macchinetta...”
“Buona idea. Prendine uno anche per me se non ti dispiace... macchiato senza zucchero per favore...” suggerisce il direttore, facendo il gesto di cercare delle monete nelle tasche dei pantaloni.
“Lasci, lasci... La prossima volta offre lei” aggiunge Serena, sorridendo perché conosce bene la spilorceria patologica del direttore.
Alla macchinetta, mentre sorveglia la preparazione dei caffè, la ragazza prova a immaginare le ragioni di quel colloquio.
Serena ha un contratto di lavoro che sta per scadere. Questo fatto un po' la preoccupa, ma ha anche dei buoni motivi per essere fiduciosa, per sperare in un'assunzione definitiva. Durante i mesi al minimarket si è comportata in modo impeccabile, con diligenza, e le sue capacità le sono state riconosciute più volte dai colleghi e dallo stesso direttore. Si illumina, pensando alla prospettiva di un contratto a tempo indeterminato, alla sicurezza economica che le permetterebbe, finalmente, di rendersi autonoma.
Se mi tengono la prima cosa che faccio è cercare un appartamento in affitto... valuta Serena, che dopo essersi lasciata con il fidanzato è tornata a vivere con i genitori, nella casa che adesso le sembra così piccola e ingolfata di suppellettili.
Immagina, si lascia cullare, ma dopo quell'illusorio volo pindarico ritorna pensierosa, considerando la possibilità che il direttore l'abbia convocata per altri motivi, per farle delle proposte che nulla hanno a che vedere con il lavoro.
Si è preparata anche per quell'evenienza e sa bene come reagirebbe in caso di un approccio non gradito dell'uomo, che già diverse volte le ha rivolto degli apprezzamenti vagamente espliciti. Serena per nessuna ragione al mondo accetterebbe compromessi, né tantomeno ricatti o inviti fuori luogo: alla minima volgarità metterebbe immediatamente le cose in chiaro e non esiterebbe a dimettersi, fregandosene di spiegazioni e buonuscite.
Serena si vede riflessa nel distributore automatico di bevande e una pioggia di monete, che si ingolfano nel cassettino del resto, la riporta alla realtà, all'incombenza da sbrigare in un angolo buio del magazzino. Trasferisce gli spiccioli in una tasca dei jeans, prende i due bicchierini di caffè e si avvia verso la scrivania del direttore.
L'uomo solleva lo sguardo da una fattura commerciale e le indica una sedia.
“Ti ho fatto venire per chiederti un favore personale” esordisce il signor Claudio, una smorfia benevola per mascherare l'insicurezza. “Niente di particolare, non pensare a chissà cosa... ma è un fatto che mi sta particolarmente a cuore e penso che tu sia l'unica persona qui dentro in grado di aiutarmi”
“Non saprei signor Claudio, se si tratta di un cambio di turno, di dover fare degli straordinari, di dare una mano in magazzino... lei conosce bene la mia disponibilità... non ci sarebbe alcun problema”
“In un certo senso sì, potremmo definirli straordinari” la interrompe l'uomo, ora più a suo agio di fronte alla perplessità della ragazza, “in particolare la faccenda riguarda un nostro cliente, che tu conosci bene...”
Serena si appoggia allo schienale e prende un sorso di caffè, che nel frattempo è diventato tiepido. Manda giù la miscela e appoggia il bicchierino a terra. Solo adesso fa caso alla puzza che aleggia nel magazzino, un sentore di cemento e frutta in decomposizione.
“Si tratta del nano, Serena. Il fattaccio della dentiera ci ha creato dei problemi. La signora Pezzella non l'ha presa per niente bene. Al momento si è spaventata, è andata nel panico, ha esagerato, e questo l'abbiamo visto tutti. Ma non avrei mai immaginato che l'episodio potesse portare a delle ulteriori conseguenze... ti spiego... ieri ho ricevuto una brutta telefonata che, ti confesso, questa notte non mi ha fatto chiudere occhio”
Serena sente addosso lo sguardo del direttore.
“Ha chiamato il nipote della signora Pezzella. Una specie di avvocato praticante che ha iniziato a bombardarmi di domande, a lanciarmi accuse non troppo velate. Ha parlato di sicurezza, di tutela dei clienti, addirittura di verifiche igieniche nei luoghi pubblici e negli esercizi commerciali”
“Non capisco cosa c'entrino i controlli igienici con quanto è successo alla signora...” si permette di puntualizzare Serena.
“Non c'entrano nulla chiaramente. Ma non si può mai sapere. Ho paura che questo signore, solo per farsi pubblicità, stia pensando di alzare un polverone, di crearci dei problemi” scandisce il direttore, che nel frattempo, come costretto da un riflesso condizionato, inizia a maneggiare e impilare carte, a riposizionarle e a infilarle in una cartellina azzurra.
Inizia a capire, la cassiera più giovane e carina del minimarket, le ragioni di quella conversazione informale.
Lascia che l'uomo riacquisti un minimo di stabilità e lo osserva mentre sorseggia i rimasugli del caffè macchiato.
“Mi scusi signor Claudio, ma io, praticamente... che cosa dovrei fare?”
“Devi chiedere alla madre del nano di non mandarlo più da noi a fare acquisti” risponde l'uomo di getto, gli occhi supplicanti che si immergono senza pudore in quelli della cassiera.
Serena prende tempo, non vuole che sia la contrarietà a suggerirle le parole da usare: si sistema le spalline della t-shirt e prova in qualche modo a defilarsi: “ma io sinceramente non conosco bene la signora. Mi pare una cosa piuttosto delicata, non vorrei sbagliarmi, causare ulteriori problemi...”
“Mi fido ciecamente!” la incalza il direttore. “Hai la sensibilità giusta per negoziare la questione” e nel frattempo le allunga un foglietto con sopra un indirizzo e un numero di telefono.
“Abitano nel quartiere, in una casa a tre piani di fronte all'Archivio di Stato, a poche centinaia di metri dal negozio. La signora è nostra cliente da moltissimi anni. Mi spiacerebbe perderla. Falle capire che il nano ha bisogno di essere accompagnato e che il nostro supermercato non è un centro di accoglienza per disabili. Naturalmente troverai tu il modo appropriato per farlo. Per giunta ci sono altre situazioni fastidiose, a parte quella eclatante della dentiera e della signora Pezzella. Delle clienti mi hanno fatto notare che il piccoletto si ferma spesso a chiacchierare con te alla cassa... a quanto pare ti distrae, ti fa perdere tempo. Capisci che non è un atteggiamento conveniente da tenere, soprattutto a poche settimane dalla scadenza del tuo contratto di lavoro...”
“Ho capito” balbetta Serena, “farò il possibile perché Ettore stia alla larga dal minimarket”
A questo punto il colloquio termina, senza ulteriori delucidazioni o convenevoli. Forse il signor Claudio vorrebbe parlare d'altro, chiacchierare del più e del meno, ma Serena si irrigidisce e si guarda bene dal concedergli altro tempo.
I due si alzano e si salutano con una stretta di mano.
Il direttore torna a sistemare le sue pratiche, inizia a controllare dei preventivi di acquisto, poi un magazziniere si avvicina per consegnargli un mazzo di chiavi e un plico.
Serena imbocca il corridoio che conduce allo spogliatoio.
È scura in volto e non sta pensando a nulla: lo sbuffo del portone automatico del magazzino di stoccaggio le ricorda che la giornata di lavoro al minimarket sta per cominciare.
La cassiera entra nello spogliatoio, apre l'armadietto con dentro la divisa – una casacca sformata verde petrolio e un paio di calzoni felpati dello stesso colore - e inizia a cambiarsi. Una sua collega, allungata verso una finestra per soffiare fuori il fumo di una Merit lunga, le rivolge un sorriso pieno di sottintesi.
GRETA BIGIARETTI (9 giugno 2017)
Serena è convinta di portare a termine senza problemi il compito affidatole dal signor Claudio: su Ettore ha un ascendente particolare e anche la madre, con lei, è sempre stata cordiale e alla mano.
Inoltre ci sono state le parole del direttore a motivarla, ad alimentare il convincimento che il buon esito della missione porterebbe alla svolta, alla firma su un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Sotto un cielo biancastro scruta il citofono del palazzo, le strisce di carta che riportano nomi e cognomi: alcune sono logore, stropicciate dal tempo, altre fresche di stampa, applicate di recente.
Inizia a esaminare l'elenco degli inquilini e avverte una specie di inquietudine che prova ad allontanare con una vampata di cinismo: non me ne importa nulla, non è un problema mio, che vadano a farsi fottere tutti, madre e figlio handicappato... rimugina fra sé prima di schiacciare il pulsante del citofono.
Attende e sente un rumore di passi sul marciapiede, un uomo e una donna che discutono animatamente. Serena preferirebbe non essere riconosciuta, e china la testa addossandosi al portone.
La serratura scatta e la commessa del minimarket punta senza indugi la rampa di scale; nota l'assenza dell'ascensore e l'altezza inusuale dei gradini: non certo adatti a Ettore si ritrova a pensare, e fa una smorfia immaginando il cagnolino rachitico, che il nano porta sempre con sé, trascinato per il guinzaglio su quel calvario di piastrelle sbeccate. Il quadretto è gustoso, divertente, ma non riesce a smorzare il disagio, la convinzione che quello che sta per fare è scorretto e non rientra nelle sue competenze.
Serena ha il fiatone e trova la porta d'ingresso dell'appartamento socchiusa: al centro una targhetta dorata con la scritta Greta Bigiaretti - Terapista clonica.
Indugia per qualche secondo.
Poi bussa.
Dall'interno un silenzio irreale, appena scalfito da un ronzio elettrico che si diffonde dal piano inferiore. Bussa ancora, poi valuta che non è il caso di tergiversare. Sale sullo zerbino, spinge la porta con la punta delle dita ed entra nell'appartamento.
La accoglie la penombra frastagliata di un corridoio, su cui si affaccia, sul lato sinistro, una coppia di porte dalle superfici ammaccate.
Prosegue a tentoni e individua il fondo del corridoio, occupato da una forma indistinguibile che irradia riflessi metallici.
Serena si avvicina con cautela e dopo qualche passo inizia a capire.
La sagoma misteriosa, posizionata su un mobiletto di legno, corrisponde a un albero di Natale sintetico, addobbato di tutto punto con palline, luci intermittenti e filamenti che scintillano e si sovrappongono.
La ragazza inizia a preoccuparsi.
Perché un albero di Natale a inizio estate?
Indietreggia e torna a osservare le porte sul lato del corridoio: nota che oltre alle ammaccature presentano dei segni di sfondamento, come fossero state prese a martellate.
Prende fra pollice e indice un ramo dell'albero di Natale e lo scuote: due o tre palline incocciano tra loro, producendo una melodia sorprendente.
La ragazza infila le mani nel tascone della felpa, poi individua un pesante tendaggio sulla parete di destra. Per un istante si lascia sedurre dalla voglia di desistere, ma si tratta di un cedimento momentaneo, e facendo leva sul suo senso del dovere allontana da sé ogni incertezza. Di mandare all'aria la possibilità di acquistare punti con il signor Claudio non se ne parla nemmeno...
C'è anche da mettere in conto il comportamento del ragioniere del minimarket, che da qualche settimana sta facendo di tutto per metterle i bastoni fra le ruote. L'ha persino accusata di aver provocato un ammanco di cassa di un centinaio di euro, salvo poi fare marcia indietro quando il signor Claudio ha ricontrollato personalmente il consuntivo giornaliero. Serena ha poi scoperto che il ragioniere da un po' di tempo sta facendo pressioni perché suo figlio – disoccupato da oltre un anno e con due figli carico - venga assunto in prova al minimarket.
Serena è consapevole di dover combattere, si obbliga a essere determinata. Ripete a se stessa: il nano non deve più entrare al minimarket... il nano non deve più entrare al minimarket...
Serena gonfia il petto e scosta i lembi di velluto della tenda: lo fa quasi con rabbia e l'ondata di luce che segue la costringe a ripararsi, a schermarsi gli occhi con una mano e a rassegnarsi a una condizione di remissività. Si aggrappa a uno stipite e prova a rilassarsi, a respirare. Lascia passare una manciata di secondi, poi comincia ad allontanare la mano dagli occhi, che lentamente iniziano ad adattarsi a quella lucentezza.
Nella stanza domina un candore immateriale, e il paragone che a lei viene in mente è quello con il paradiso posticcio di un celebre spot televisivo.
Colpisce la mancanza di mobili, bilanciata, in qualche modo, da una moquette verde acqua, che fa apparire il pavimento una specie di prato immaginario.
Intanto il chiarore, gradualmente, comincia a rivelare la sua origine: la parete di fronte è occupata da una vetrata che rifornisce di luce l'intera stanza e c'è da stupirsi di come quell'ambiente riesca a moltiplicare la luminosità proveniente dall'esterno, da un cielo schermato da una coltre di nuvole grigie.
Serena è ferma sulla soglia, valuta se togliersi o meno le scarpe per accedere in quella specie di incubatrice per cherubini: si rianima, avanza e i suoi sandali in pelle affondano nel pelo eccessivo della moquette.
Serena osserva al di là della vetrata e individua un terrazzo, delimitato da un parapetto sormontato da una sequenza di piante in vaso: riconosce delle eriche, una pervinca in fiore e un rigoglioso cespuglio di rosmarino.
Al centro dello spazio esterno, curva su un tavolo di plastica, la mamma di Ettore si impegna a livellare, con una forbice da giardiniere, dei rami di lavanda. Li seleziona prendendoli da un cumulo posizionato a terra, attorno a cui ronza un piccolo sciame di api. Calzoni di ciniglia, un cappello di paglia e un grembiule verde annodato alla schiena, la donna sembra uscire da un romanzo rurale inglese.
Un po' discosto, seduto a terra su una stuoia da spiaggia, Ettore maneggia i rami livellati dalla madre, cercando di ricavarne delle fascine. L'operazione gli costa fatica: le sue mani minuscole afferrano e ruotano nel tentativo di cingere le fronde e di legarle assieme con dei nastri colorati. I movimenti risultano sgraziati, dominati da una goffaggine senza rimedio. Eppure il nano non demorde. In qualche modo porta avanti l'operazione di confezionamento, assemblando i rami di lavanda e collocandoli poi in un imballaggio di cartone.
Serena osserva il quieto lavorio della coppia, addossandosi il più possibile alla parete di vetro, poi si scuote e si avvicina all'apertura a scorrimento .
Il cigolio della porta accompagna il suo ingresso nel terrazzo, poi un abbaio perentorio la fa trasalire e Serena non può fare a meno di guardare in basso.
Il cane di Ettore, un bastardino imparentato con uno yorkshire terrier, la sta scrutando con interesse, la annusa e poi ripete l'abbaio, questa volta seguito da un guaito e da uno scodinzolio.
“Spike, vieni qui!” intima la padrona di casa, e il cane, trottando vorticosamente, le si va ad accucciare ai piedi.
La donna, per valutare meglio la nuova arrivata, si infila, dopo averli prelevati da una tasca del grembiule, un paio di occhiali con le lenti a mezzaluna; Ettore il nano invece resta immobile, pietrificato di fronte all'apparizione di Serena, la cassiera più giovane e carina del minimarket.
Servono adesso delle parole di presentazione da mettere in fila una accanto all'altra, ma la ragazza sente di non poterle pronunciare. La situazione è così inverosimile, inaspettata. La sua mente aveva elaborato un quadro di mestizia: un salottino con due persone pronte a scusarsi e a pendere dalle sue labbra, ma la realtà che ha di fronte è ben diversa, attinge a una dignità superiore, a una libertà costruita con azioni spassionate.
Ettore decide di rompere gli indugi e si alza dalla stuoia. Si avvicina a Serena, le sale quasi sui piedi. “Cosa ci fai qui?” domanda con la sua vocina stridula.
“Sono venuta a parlare con tua mamma”
La madre di Ettore appoggia il cappello a terra e si allontana dal tavolo di lavoro; raggiunge un minuscolo lavandino e inizia a lavarsi le mani con un pezzo di sapone da bucato. “Pensavo fosse un paziente” dice senza voltarsi. “Di solito non si presentano mai fuori orario, ma qualche volta succede. Persone in difficoltà. Che hanno bisogno di essere rassicurate... o risvegliate a seconda dei casi...”
Lascia in sospeso la frase e inizia ad asciugarsi con uno strofinaccio. L'operazione si protrae per un tempo che a Serena sembra lunghissimo. Poi la donna si gira e sul suo viso si delinea un sorriso disarmante.
“Ma mi fa piacere la sua visita, signorina Serena. Preferisce entrare o rimanere sul terrazzo?”
La risposta tarda ad articolarsi, la ragazza non vorrebbe sbagliare l'approccio, ma Greta Bigiaretti non sembra farsene un problema.
“Ettore, ti dispiace andare in cucina e preparare il tè? Lei gradisce una tazza di tè, vero signorina?”
“Volentieri” si affretta a rispondere Serena,.
“Latte o limone?” sente poi formulare da Ettore, una cinquantina di centimetri più sotto.
“Una fettina di limone...” risponde la cassiera incespicando un po' sulla parola limone.
Ettore continua a fissarla, il ghigno contratto a formare delle rughe profonde attorno alla bocca. Serena non è tranquilla, si sente minacciata da quella smorfia, identica in tutto e per tutto a quella che Ettore ha rivolto alla signora Pezzella nel minimarket, un attimo prima di togliersi la dentiera. La ragazza perde per un istante il contatto con la realtà e sente decontrarsi le articolazioni delle spalle.
È un segnale che conosce bene.
È lo stesso che ha accompagnato i fallimenti della sua vita, gli errori e i tradimenti. Non è salutare ma ora sa che può finalmente esprimersi, sciogliere la propria rabbia, la propria ostilità. Potrebbe farlo con le parole, ma come sempre quelle particelle del pensiero le sfuggono, vanno a nascondersi in un angolo inaccessibile della mente.
Prova compassione per se stessa.
Si culla dentro quell'arrendevolezza che non avrebbe ragione di essere, ma che è allo stesso tempo concreta e la abbraccia con vigore. Anche suo padre la abbracciava, ma era come un rimprovero, una specie di avvertimento.
La sfiora un'immagine che sembra provenire da una profondità sconosciuta: un orizzonte di sabbia cristallina e una linea verticale che ondeggia, come un albero maestro sferzato dalla pioggia.
Non le resta altro da fare che caricare con voluttà il movimento del braccio, puntare con lo sguardo la guancia destra del nano e colpire con forza.
*
Greta Bigiaretti ha il pieno controllo della situazione. È accovacciata accanto a Ettore e prova a rianimarlo. Lo scuote leggermente, va al lavandino e mette lo strofinaccio sotto al getto d'acqua.
Serena è seduta, la schiena appoggiata alla balaustra della terrazza. Singhiozza. Accenna ad alzarsi. Appoggia una mano a terra e si inclina leggermente.
“Stai lì senza muoverti!” le urla la donna, la bocca spalancata a rivelare una fila irregolare di denti.
“Forse è meglio chiamare i soccorsi... non mi sembra si stia riprendendo...” piagnucola.
Greta Bigiaretti fa finta di niente e appoggia lo straccio sulla fronte del nano.
“Non l'ho nemmeno toccato...” continua a ripete Serena, il mento reclinato a toccare lo sterno.
“È il fatto che non l'hai toccato a preoccuparmi maggiormente... cretina che non sei altro...” replica rabbiosa la donna.
Ettore ha gli occhi sbarrati; un grumo di bava gli sbianca un angolo della bocca. Serena realizza che il tamburellare secco, che si espande nello spazio della terrazza, è provocato dalle scarpe ortopediche del nano che sbattono contro l'assito di cemento.
“Cristo!” grida la ragazza, che immediatamente dopo si accuccia in posizione fetale.
Una finestra si apre in una dimensione aerea che corrisponde a un quarto o a un quinto piano, a un centinaio di metri in linea d'aria dalla terrazza.
Segue uno sbattere di ali.
Greta Bigiaretti si acquatta come un soldato fra i reticolati. Si volta ruotando impercettibilmente il busto e fa segno a Serena di stare zitta.
Dopo una decina di secondi la finestra si chiude.
Un lieve rumore di traffico dalla strada.
A questo punto sulla terrazza compare una siringa riempita per metà di prometazina.
Serena allunga il braccio e lo posiziona orizzontalmente, come per ricevere un regalo inaspettato. Le si avvicina Greta. L'ago perfora la vena: un'operazione da niente, più o meno come infilare una chiave o indossare una scarpa. La ragazza si addormenta dopo pochi secondi. Una scocciatura in meno pensa Greta Bigiaretti, che adesso può valutare meglio le condizioni di Ettore, accertarsi che la crisi convulsiva (molto più profonda del solito) abbia un decorso regolare.
La scena è proiettata sulla vetrata. I riflessi del tardo pomeriggio rendono le tre figure umane sfibrate, le fanno apparire come sagome di cera.
C'è il nano disteso a terra inerte, un occhio chiuso, l'altro sbarrato, la testa appoggiata sopra un golfino blu. Serena dorme, sgonfiata da ogni tensione muscolare; accasciata contro la balaustra della terrazza è nulla più che un contorno, il soggetto di un murales. Di fronte a loro il volto di Greta Bigiaretti ha la potenza e la dinamicità del bronzo. I suoi gesti sono elementari, ma accurati.
C'è stato un tempo in cui Greta...
Laurea in medicina e chirurgia. Specializzazione in chirurgia generale. Lavoro nella sanità pubblica. Poi un concorso per diventare direttore sanitario. Greta Bigiaretti assume il comando di un presidio ospedaliero della Metropoli.
Le responsabilità di Greta si moltiplicano in proporzione ai riconoscimenti, alle lodi di chi intravede, nel potere che le è stato affidato, un proprio tornaconto. Greta osserva, inizia a costruirsi una mappa mentale, uno schema concreto e un po' fantastico delle sue priorità.
Le colleghe e i colleghi le suggeriscono: è ora di mettere su famiglia, ma lei non ascolta, non è interessata, sovrappone relazioni che hanno in comune una data di scadenza, la rescissione non necessariamente consensuale di un contratto.
Come accade in natura pensa Greta. Tutto ha un termine e tutto persiste, nonostante vanità e autocontrollo.
Poi il giro di roulette che crea una sospensione.
A partire dal concepimento di Ettore, un errore frutto di una notte passata a casa di un amico, durante un'esperienza di lavoro negli Stati Uniti. Partorisce il nano per farlo diventare un monito, una specie di precetto contro la viltà. Ha bisogno di una colpa bizzarra da scontare, un esserino problematico che pianga più del dovuto, che voglia bere, mangiare, cagare e tutto il resto. Greta non vuole ulteriori complicazioni: il padre di Ettore viene derubricato a concausa e rimarrà per sempre all'oscuro di tutto.
La macchia nell'anima intanto si espande. Pretende sangue e ossigeno. Si vuole appropriare delle regole. Il nano è la didascalia in calce all'immagine “il mondo è cattivo e in un terreno di morte occorre solo combattere.”
Greta conosce un uomo, che è amico di un imprenditore nel settore socio-sanitario, che è amico di un politico.
La politica e i soldi facili: un connubio scontato pensa Greta ma poi i soldi si palesano in tutta la loro virulenza: fascette tirate all'inverosimile, ventiquattrore a filo scrivania, il profumo dolce e ferroso dei parcheggi periferici, una mentina offertale da un intermediario, che poi racconta dei suoi trascorsi di pugile di strada.
Soldi facili, soldi sporchi, così si esprimerebbero in altri contesti.
Finisce che un chirurgo del presidio va fuori di testa: di sua iniziativa, senza il consenso di Greta, impianta protesi “troppo” difettose, roba che si sbriciola, che rilascia materiali tossici.
Due donne anziane muoiono, forse non solo a causa delle protesi, ma intanto l'architettura della truffa inizia a sfaldarsi.
Puntuali si manifestano le metastasi, la resa dei conti è una muta di cani rabbiosi: a guidare l'ammutinamento un politico in ascesa, fuoriuscito dal comitato d'affari e socio di una fondazione bancaria. Nei corridoi del presidio gli sguardi scantonano, le porte delle infermerie si chiudono per contenere delazioni e bestemmie. Il politico in ascesa pretende cinque o sei teste da esibire all'opinione pubblica come trofei di guerra.
Arriva il venerdì santo e nelle caserme della Metropoli gli ordini sono più stringati del solito.
Greta è fuori da un ristorantino che propone il menù a prezzo fisso: le si avvicina un uomo massiccio, alto e palestrato senza eccessi. Ha una quarantina di anni, più o meno l'età di Greta Bigiaretti, ma a lei appare come un ragazzo, un bravo studente di una facoltà tecnica: jeans, scarpe fosforescenti da runner, giubbetto di pelle marrone stretto in vita. Lo osserva avanzare, poi scorge alle sue spalle un'automobile, un militare con una divisa grigia e un'arma che gli penzola lungo il fianco.
Non se l'era immaginato così il suo arresto: pensava sarebbe stato più asettico, burocratico e scarno. Un passaggio di consegne, un cambio di scena tipo: adesso il copione prevede lo svilupparsi di un conflitto per permettere alla storia di procedere.
Il primo interrogatorio è impalpabile, una specie di sogno. Greta non ascolta, si limita a rimuginare. Ha una vaga idea di cosa significhi radiato dall'Ordine dei Medici. Vorrebbe chiedere informazioni al sostituto procuratore, ma comprende che una tale richiesta potrebbe risultare ridicola, e perfino offensiva.
Accettare.
Adattarsi.
Una telefonata di un minuto: Ettore è sistemato da una cugina che abita in un paese del centro Italia. L'ambiente bucolico, l'aria ridanciana del paese, non potranno che giovare al ragazzo, dice Greta al suo avvocato di fiducia.
La reclusione è morbida e allo stesso tempo intollerabile. È la parte in ombra dell'unico mondo possibile. Le sue compagne di prigionia nonostante tutto continuano a credere in se stesse: sono curate, superficiali, provano affetto le une per le altre, ascoltano con interesse le fesserie degli educatori e parlano in continuazione dei loro fidanzati. Lei sta sulle sue e quando esprime un parere lo fa perché è giusto e conveniente farlo. Naturalmente le affibbiano un nomignolo (dottoressa Giò, o qualcosa del genere) e, incuranti della sua desolazione e del suo risentimento, la tormentano chiedendole di aborti domestici, di cistiti e alluci valghi. Lei risponde provando vergogna, a volte dando consigli sbagliati ma rassicuranti.
Ha tempo per leggere e sbatte contro uno scrittore latinoamericano che rende autorevole il pensiero, la follia, il dissesto delle regole. Diverrà la sua fonte e il suo unico ristoro, se si escludono il sesso con una compagna di cella e il brusio della notte, che rimbalza da un ricordo all'altro, da un chiaro di luna all'altro.
Ventidue mesi dopo Greta, chiusa dentro una stanza di albergo a due stelle della Metropoli, progetta il suo ritorno, la sua seconda vita.
Prende un treno che la porta nel cuore di una campagna ondulata, punteggiata da zolle e vitigni. Si presenta dopo il tramonto, quando tutti hanno voglia di perdonare e dormire. Parla dieci minuti con Ettore, che sembra non credere ai suoi occhi. Un taxi aspetta fuori, nella polvere verdognola del cortile.
Greta si trasferisce, insieme al figlio, in una città non troppo distante dalla Metropoli. Acquista su internet il necessario per la nuova casa e dopo pochi giorni trova lavoro in un negozio che vende capi di abbigliamento personalizzati, soprattutto magliette e felpe sportive. Impara presto, mettendo in pratica quanto appreso a un corso di grafica frequentato in carcere. Allora quel corso, tenuto da un ingegnere informatico in cassa integrazione, le era parso una desolante perdita di tempo.
Ettore è diventato un bambino dolce, persino attraente. Quando non è a scuola le sta accanto, le dà una mano svolgendo delle piccole commissioni. È una fonte di delicatezza in un mondo al collasso. L'indennità che gli è stata assegnata è miserevole, ma offre una discreta riserva di denaro su cui fare affidamento.
Greta stampa magliette e intanto mette su qualche chilo, avverte attorno ai fianchi il pericolo della staticità. Il pensiero di una vita decorosa le fa ribollire il sangue. Decide che è il momento di confrontarsi con il mercato, di tornare a vivere e a sperimentare.
In un anno risparmia abbastanza soldi per ottenere un diploma in “tecnico delle discipline olistiche”. Non è una scelta casuale, si basa su un'attenta analisi del materiale umano che le ronza attorno. Ha notato che alcune clienti del negozio hanno gli occhi smarriti, si incurvano sotto il peso della normalità e del confronto impari con madri e colleghe più adeguate, le osserva per poi circondarle di affetto e vapori di tisane, per farle sentire speciali anche se non lo sono affatto.
Accenna al suo hobby, a delle tecniche di rilassamento che solleverebbero dagli affanni e inizia a sperimentare la sua terapia a base di esercizi ginnici e suggestioni zen.
All'inizio non si fa pagare, si accontenta di piacere e di circuire con grazia. Poi i soldi arrivano quasi per osmosi, come segno di gratitudine e di rispetto. Greta è un medico, sa benissimo che i rimedi che propone hanno la stessa efficacia di una sbronza del venerdì sera o di un corso di pilates. Proprio per questo si diverte, aggiunge ai guadagni il gusto dello sberleffo e della macchinazione.
Trasforma il suo trilocale in affitto in uno studio che abbina vivacità e stravaganza, musiche tediose e incensi chimici. La parola d'ordine è abbagliare, confondere, cavalcare la disperazione perché adesso le anime esauste vogliono affondare il loro vuoto nella pratica consolatoria. Le procedure le detta lo scrittore che ha conosciuto e studiato in carcere, precetti naturalmente deformati, riadattati per soddisfare i gusti della sua nuova clientela.
Ora la magia è il palcoscenico di Greta, la sua arte, la sua macchina scenica.
Ettore è il minuscolo usciere in livrea, il ragazzo delicato che assiste e genera amore. Risponde al citofono, qualche volta al telefono, e se non è troppo nervoso va a fare la spesa al minimarket. Le clienti lo adorano, lui sta al gioco e quando è da solo sfoga in qualche modo la sua aggressività.
ICIO (29 agosto 2017)
“Ancora una volta in fondo al parcheggio...”
“Spostati, fammi vedere meglio”
“È dietro al Duster marrone, quello che sta facendo manovra”
Il direttore del minimarket si avvicina alla vetrata e sbircia fra due manifesti che annunciano sconti su birra e carne da barbecue.
“Il piccolo bastardo sta puntando la signora Dancelli...” dice il direttore.
“La signora gli ha dato una volta l'euro del carrello e lui adesso non la molla più” aggiunge il figlio del ragioniere del minimarket, magazziniere e addetto alla movimentazione dei carrelli, assunto – grazie all'interessamento di suo padre - con un contratto a termine di sei mesi.
“Fammi un piacere Icio... vai fuori a fumarti una sigaretta e intanto fatti vedere dal nano... basta stargli a qualche metro... fissalo negli occhi e lui di solito capisce l'antifona”
Il nuovo magazziniere fa una smorfia, che potrebbe significare ci penso io oppure che cosa mi tocca fare. Infila fra le labbra una sigaretta, controlla se l'accendino è rimasto nella tasca del grembiule e si incammina verso le porte scorrevoli. Il suo incedere è impostato, rigido, le ginocchia si piegano poco, come quelle di un robot.
”Finalmente il nano ha trovato pane per i suoi denti...” sussurra il direttore e intanto alle sue spalle si armonizzano i rumori che lo cullano e lo fanno stare bene: i trilli dei codici a barre, il fruscio dei sacchetti che si riempiono, e da uno strato di consapevolezza inferiore il lamento ipnotico degli armadi frigo...
Per qualche secondo il traffico nel parcheggio gli preclude la visuale: si sposta verso destra e scorge Icio sotto le fronde del tiglio selvatico, il sedere appoggiato sullo spartitraffico affacciato sul marciapiede e la strada. Sta facendo gli ultimi tiri di sigaretta, le gambe distese con i talloni che puntano a terra. Indossa delle polacchine scamosciate che quasi gli si accartocciano alle caviglie, e il direttore si domanda come il ragazzo possa lavorare, anche solo stare in piedi con quelle scarpe che non hanno più forma e che rischiano da un momento all'altro di sfasciarsi.
Il nano, anche lui sospeso in qualche modo al guardrail, è accanto a Icio. Non comunicano, ma non c'è nemmeno ostilità fra loro. Esprimono un quieto sentimento di accettazione, per così dire, ognuno consapevole del proprio ruolo e rispettoso del ruolo dell'altro.
Sembrano colleghi si sorprende a pensare il signor Claudio.