The Land of Little Rain,
un racconto di Mary Hunter Austin
Introduzione
Mary Hunter Austin (1868-1934) nasce a Carlinville, Illinois e, nel 1888, dopo aver conseguito una laurea in botanica, si trasferisce per la prima volta in California, a Rancho el Tejon, con la sua famiglia di origine. Sviluppa subito un grande interesse per tutto ciò che caratterizza la natura circostante e gli abitanti originari di quei luoghi; esplora quindi i dintorni di Rancho El Tejon e della parte inferiore della San Joaquin Valley, fa amicizia con i cowboy, con i vaqueros messicani, con i pastori baschi e con i nativi americani della zona, di cui impara le tradizioni, i costumi e le storie. Nel 1891 Mary Hunter sposa Stafford Wallace Austin, e l’anno successivo la coppia si stabilisce a Lone Pine per poi trasferirsi a Independence, entrambe cittadine della Valle di Owens nella Contea di Inyo. Per più di dieci anni sarà questa la sua casa, che diventerà l’ambientazione di The Land of Little Rain.
Quando arriva nella Valle di Owens, Mary Austin è immediatamente attratta dalla natura di quella zona, la studia dunque molto attentamente, continua ad annotare quello che osserva facendo uso anche delle sue conoscenze di botanica, e successivamente approfondisce lo studio dei deserti della California. Si appassiona alle tradizioni e alla storia dei messicani e in generale delle persone di origine ispanica, ma soprattutto alla cultura dei nativi americani, che l’autrice frequenta spesso. In un contesto come quello della Valle di Owens della fine degli anni ‘90 del 1800, caratterizzato da aspri conflitti razziali e sociali, Mary Austin si impegna in cause a favore dei diritti civili dei nativi americani e della comunità messicana.
Il risultato della sua permanenza in questi luoghi è The Land of Little Rain, che sarà pubblicato nel 1903. Quest’opera è un esempio di nature writing e consiste in una raccolta di quattordici saggi letterari, ognuno dei quali esplora un aspetto caratteristico del paesaggio naturale del Sudovest americano, e più precisamente della regione “tra le alte Sierre a sud di Yosemite, a est e a sud attraverso un vasto gruppo irregolare di catene montuose oltre la Valle della Morte, e la zona che si estende a perdita d’occhio fino al Deserto del Mojave”. Non ci si deve però aspettare di individuare con precisione tutti i posti descritti in quest’opera, perché, come l’autrice stessa avverte nella Prefazione, i nomi da lei usati per indicare questi luoghi non sempre coincidono con quelli “ufficiali” che troviamo sulle cartine geografiche. Questo perché Mary Austin decide di adottare la modalità dei nativi americani, popolo che è molto più in sintonia con l’ambiente in cui vive rispetto agli europei-americani, e che ha quindi sviluppato il modo corretto di dare il nome a ciò che li circonda. Oltre a essere intrisi di storia e cultura locale, i toponimi di quella zona esprimono infatti la relazione tra chi decide il nome e l’elemento che è stato chiamato in quel modo, e sono indicativi di un’esperienza personale e intima con la terra. Per questo motivo i nomi usati dall’autrice sono spesso di derivazione nativo-americana, oppure rispondono a ciò che questi luoghi evocano in lei. Così, se alcuni luoghi, come il deserto del Mojave o la Valle della Morte, sono ben identificabili sulla cartina geografica, altri, come il Waban, o il monte Oppapago, sono designati secondo il nome che usano i nativi americani, e altri ancora, come il Ceriso, sono di più difficile identificazione. D’altronde il lettore che decide di esplorare questa regione può “trovare o non trovare”, a seconda della sua disposizione d’animo e della sua capacità di scoprire e di mettersi in contatto con una terra così complessa come quella del deserto della California orientale.
Il termine stesso di “deserto” non rende giustizia, secondo Mary Austin, a questa terra spesso fraintesa, che viene dipinta, a torto, come una regione arida e ostile, ma che lo è solo in apparenza. Infatti, per chi lo sa comprendere e rispettare, il deserto diventa un luogo ricco di esperienze incantevoli, storie appassionanti, e soprattutto di vita. La Valle della Morte ad esempio, molte volte descritta come “il cuore della desolazione”, ospita in realtà centinaia di specie, che trovano sempre un modo per sopravvivere e fiorire, traendo dal deserto tutto ciò che esso può dare.
Allo stesso modo gli animali che popolano questa terra sanno bene come agire e comportarsi nel deserto. Sono animali che non hanno nulla da invidiare agli esseri umani in quanto a intelligenza e capacità di adattamento, anzi talvolta sono più esperti degli esseri umani stessi. Austin spesso li personifica descrivendone le abilità e il carattere ed evidenziandone le peculiarità. Lo smilzo coyote ad esempio è un viandante astuto, che sa benissimo dove trovare dei pozzi d’acqua poco profondi in luoghi dove nemmeno i nativi americani li saprebbero trovare.
La regione che descrive Mary Austin non è solo caratterizzata da una flora e una fauna ben specifiche, ma anche da tribù indigene come i Paiute e gli Scioscioni, cercatori d’oro, vecchi minatori e altri esseri umani, che nei quattordici saggi che formano la raccolta trovano spazio al pari degli animali. Per Mary Austin la terra non è qualcosa di formale e astratto che l’essere umano deve ammirare, ma è intrinsecamente legata alla vita umana, è una terra che trasforma il carattere, le azioni e persino le caratteristiche fisiche delle persone che ci vivono. In The Land of Little Rain Mary Austin descrive le tradizioni, le attività e le storie delle persone che abitano quella terra, come quelle di Salty Williams, che conduceva instancabilmente il suo carro di muli dalla palude di borace a Mojave o degli sventurati che hanno dato alla Valle della Morte il suo nome minaccioso; ma soprattutto Mary Austin dà voce alle storie dei nativi americani, che lei reputa un popolo da tutelare e con una cultura da salvaguardare e valorizzare. Nell’opera ci sono continui rimandi alla cultura dei nativi americani, e due interi capitoli sono dedicati alla storia di Seyavi, donna nativa americana che ha allevato il suo bambino da sola intrecciando cestini, e a quella di Winneap’, Scioscione che fu allevato dalla tribù dei Paiute. Il deserto è inoltre pieno di leggende e tradizioni al tempo stesso affascinanti e inquietanti, è una terra che promette ricchezza, ma che esercita su chi la abita un fascino quasi incantatore, tanto che ci si chiede se sia meglio essere “morsi dal serpentello cornuto del deserto […] piuttosto che rimanere avvinghiati dalla storia di una miniera perduta”. Le storie dei personaggi assieme alle leggende misteriose che popolano il deserto sono usate come fonte d’informazione su chi abita quella terra e sulla terra stessa e diventano l’elemento che connette fenomeni naturali e esperienza umana. Così come i quattordici saggi che formano la raccolta sono interdipendenti, animali, piante, esseri umani e paesaggio sono legati tra di loro.
Con The Land of Little Rain, Mary Austin contribuisce a dare una nuova dignità alla letteratura “regionalista” del west, e a valorizzare il potenziale culturale di quella zona che a suo parere non ha niente da invidiare a quella della East Coast. L’autrice ci restituisce un’esperienza inedita del paesaggio desertico della California. Lo fa con un linguaggio evocativo e molto dettagliato, capace di catturare l’atmosfera di quei luoghi, l’essenza di un deserto che non deve coincidere esattamente con la mappa geografica, perché ognuno di noi lo deve scoprire e ritrovare.
La traduzione del racconto The Land of Little Rain, è a cura di Anna Colla (Progetto FUSP | ZEST).
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Anna Colla è laureata in Lingue e Letterature Europee, Americane e Postcoloniali all’Università Ca’ Foscari di Venezia con una tesi dal titolo Bilinguisme littéraire et auto-traduction chez Samuel Beckett e Nancy Huston e ha frequentato il Master dall’inglese in Traduzione editoriale e tecnico-scientifica presso la Fondazione Universitaria San Pellegrino, sede di Vicenza. Parallelamente alla sua attività di docente di lingue lavora come traduttrice dall’inglese e dal francese all’italiano. Collabora al progetto ZEST Letteratura sostenibile | FUSP in qualità di traduttrice.