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Tolstoj ecologista nella considerazione dei suoi contemporanei

Lev Nikolàevič Tolstoj, nasce nel 1828 e muore nel 1910, è conosciuto per il suo indiscusso valore letterario ma anche per le sue scelte e convinzioni ecologiste. Abbiamo trovato un articolo apparso sulla rivista Good Health (n.39) pubblicata nel Gennaio del 1904, a Battle Creek, Michigan (USA) dalla Good Health Publishing Company, e che vedeva la redazione di John Harvey Kellogg (l’inventore dei corn flakes), anch’egli convinto vegetariano ed ecologista.

Diventa interessante, attraverso questa lettura, registrare l’opinione dei contemporanei sulle abitudini di vita dell’ormai anziano Tolstoj, della sua determinazione nel mettere in pratica uno stile sano e di condivisione con la comunità di Jasnaja Poljana.

Si raccontano con meraviglia la sua scelta di sobrietà, di rinuncia ai beni considerati da lui superflui e di come passasse il tempo tra scrittura, pratica di esercizio fisico e vita all’aperto.


Tolstoj (Edith E. Adams) | Good Health Review 1904

traduzione di Martina Miano* / Progetto FUSP – ZEST

 

Tra gli apostoli moderni del vangelo della semplicità nessuno è così celebre né così influente come il Conte Leo Tolstoj. Il mondo intero ha conosciuto il suo appello a una vita più frugale e ha constatato i suoi sforzi per realizzare gli ideali predicati, un evento considerato da William Dean Howells1 come “il più suggestivo del secolo”.

Il fascino del benessere e del vigore provenienti da una vita frugale, trascorsa a contatto con la natura, “a guardare e intrattenere conversazioni con Lei”, lo hanno attratto con forza per la prima volta quando, nell’esercito da ragazzo, ha partecipato a una spedizione nel Caucaso, terra di paesaggi meravigliosi e tradizioni primitive.

Più tardi, le sue convinzioni si sono consolidate: ha abbandonato il palazzo per la campagna, la cerchia aristocratica in cui è nato, per la società contadina russa nella sua tenuta di Yasnaya Polyana. A questa si è unito da pari in una comunione fraterna di vita, rinunciando per gradi a tutto ciò che non poteva condividere in egual modo.

Ha abiurato tutte le comodità moderne tipiche degli uomini della sua statura. Per quanto riguarda le sue abitudini personali, Tolstoj conduce una vita di intransigente semplicità. Senza dubbio, questo spiega ampiamente come Tolstoj, a settantacinque anni, sia una fonte inesauribile di energia, ardente di vigore giovanile, agile e in continua attività, cosa che suscita l’ammirazione e l’invidia dei più giovani.

La purezza delle sue abitudini fisiche gli hanno permesso di mantenere un vigore e una lucidità tali da continuare, in età avanzata, le sue fatiche letterarie all’apparenza prive della sua vibrante espressività. Il nostro ritratto fornisce un’idea della sua presenza possente nonostante il fisico minuto e mostra anche la pittoresca semplicità delle sue vesti da muzik: un lungo saio ampio allacciato con una cintura di pelle, adatto a tutte le esigenze. Negli ultimi anni Tolstoj ha rischiato di ammalarsi di tubercolosi, malattia terribile di cui sono morti due dei suoi fratelli. È riuscito infine a superare questa predisposizione vivendo in una tenda nella steppa e bevendo molto kumiss2.

Il conte è vegetariano sia per motivi fisiologici che etici. Crede fermamente nell’alto valore nutrizionale dell’alimentazione umana originaria e di conseguenza la apprezza. A differenza degli altri membri della famiglia, consumatori di carne, le due figlie maggiori condividono le sue idee. Tuttavia, la contessa, per amore del marito, ha condotto uno studio specifico sulla dieta vegetariana e e ha acquisito una competenza tale da, a suo dire, “servire”, se necessario, “pasti a base di cereali, frutta e verdura per 365 giorni l’anno senza replicarne alcuno”.

Nonostante si astenga da fumo e alcol, il conte un tempo era avvezzo a bere molto tè, usanza diffusa in tutti gli strati della società russa.

Alle donne il tè viene servito in tazza, con la panna, mentre agli uomini al bicchiere, con il limone: non di rado il conte ne beveva dodici o tredici in un’unica volta. Si concedeva questa abitudine inutile e pericolosa finché non vi ha rinunciato perché in disaccordo con i suoi principi. Al momento, la sua bevanda preferita è il “caffè d’orzo” diluito con crema di mandorle, un’alternativa davvero sana e nutriente.

Chi andava a trovare la famiglia Tolstoj quando si riuniva per cena con i suoi numerosi invitati, ha trovato il conte e la figlia maggiore, Mascha, sobriamente vestita, seduti da soli all’estremità del tavolo, senza toccare cibo durante svariate portate del banchetto. Alla fine, una cameriera entrava con una pagnotta di segale e un piatto di zuppa ciascuno e questo costituiva il loro unico pasto in quella occasione.

In un paese come la Russia, in cui “è costume mangiare e bere senza il benché minimo riferimento ai propri bisogni, pena l’essere considerati asociali”, l’atteggiamento del conte a riguardo stupisce particolarmente. Con l’estrema semplicità della sua dieta, sconfigge indolenza e materialità, diffuse nelle classi più agiate, certo che per prevenire il sorgere dei vizi sia meglio combatterli sul nascere.

Chi è indulgente e approssimativo nelle abitudini fisiche non può ambire all’immortalità. Secondo la sua visione, poiché osservare un comportamento morale dipende in larga misura dalla purezza fisica, qualunque comportamento immorale la compromette. In armonia con questa visione crede nel vegetarianismo e lo pratica come fosse “il primo passo verso uno stile di vita più morale,” poiché la carne animale non è il cibo più adatto all’essere umano, “ed è utile solo a stimolare istinti animaleschi, lussuria, voluttà ed ebbrezza”.

Il vegetarianismo di Tolstoj non solo si basa sull’idea fisiologica di una vita sana e pura, ma è anche sostenuto da motivi etici.

Il doloroso mistero delle sofferenze animali tocca la sua anima sensibile ed empatica, gli impedisce di immaginare di poter togliere la vita a un animale, così preservandola. La sua riflessione sul togliere la vita a un animale sottolinea, prima ancora che la violenza usata contro questo, la violenza che l’essere umano si autoinfligge accettando di uccidere un animale incurante dell’orrore, ovvero reprimendo quell’istinto primordiale di empatia e compassione infuso opportunamente dal Creatore nel petto dell’essere umano.

Per Tolstoj, un letto rigido e un capezzale di pelle sono fondamentali per il suo riposo, qualcosa di più morbido e confortevole lo logorerebbe soltanto. Le dure condizioni di vita all’aria aperta gli conciliano il sonno: la mattina si alza molto presto e si immerge in un bagno freddo, a poca distanza dal suo giaciglio; riattiva la circolazione con esercizi di ginnastica energici e poi si dedica a una colazione frugale, spesso a base d’avena.

Tolstoj dichiara la dottrina del lavoro parte degli ideali di semplicità. Le sue idee riguardo la dignità del lavoro e il degrado dell’indolenza furono stimolate da studi condotti a Mosca, preliminari a un lavoro filantropico di miglioramento delle condizioni di miseria. Ha trovato più felicità tra la povera gente della classe operaia di quanto non si aspettasse. Ha scoperto che gli unici irrimediabilmente incapaci sono un tempo appartenuti alla classe più agiata, i quali, dopo aver perso la loro ricchezza, hanno mantenuto intatte le loro posizioni circa il degrado. Tolstoj ha abbandonato quindi i suoi progetti filantropici e si è dedicato a estirpare queste false concezioni di vita. La sua teoria è che non si debba vivere “del lavoro degli altri, ma del proprio per il bene altrui”: un insegnamento diffuso con forza nei discorsi, negli scritti e nella pratica. Questa dottrina ha anche i suoi effetti fisiologici: sulla salute fisica, lucidità mentale e sul benessere spirituale.

Attraverso una lunga autodisciplina, il frequente esercizio fisico è divenuto per Tolstoj tanto fondamentale per l’attività mentale da sentirsi un buono a nulla se lo salta anche solo per un giorno: non riesce né a leggere né a scrivere, nemmeno ad ascoltare con attenzione. Gran parte del tempo non consacrato alla scrittura è dedicato all’attività fisica all’aria aperta, votata ad assolvere fini più alti. In estate si traduce in arare, tosare l’erba, potare gli alberi, ecc.; in inverno, in procurarsi l’acqua, tagliare la legna e mantenere in ordine la sua stanza. Parte del suo studio è provvisto di un’attrezzatura da calzolaio e qui si tiene occupato nei giorni di pioggia, a fabbricare calzature per lui e gli altri. Così, secondo la luce che lo pervade, questo apostolo moderno tenta di persuadere gli uomini che c’è più onore in una vita di lavoro utile che in una di indolenza e che l’ideale divino “non è essere serviti, ma servire”.

1 Scrittore statunitense (Martin’s Ferry, Ohio, 1837 – New York 1920), esponente del realismo americano.
2 Latte di giumenta fermentato, leggermente alcolico e dal sapore acido, tipico del Kazakistan.


*Martina Miano: Classe 1997. Presso la Fondazione Universitaria “San Pellegrino” (FUSP), sede di Rimini, Martina Miano consegue una Laurea triennale in Mediazione linguistica con una tesi dal titolo “La coralità della letteratura working-class attraverso la singolarità del traduttore”. Presso la Fondazione Universitaria “San Pellegrino”, sede di Vicenza, frequenta il Master dall’inglese in Traduzione editoriale e tecnico-scientifica. Attualmente è iscritta al Corso di laurea magistrale in Traduzione specialistica presso la Civica Scuola “Altiero Spinelli” di Milano. Tra le sue passioni letterarie: scrittori e poeti italiani e russi del ‘900, critica letteraria, teoria della traduzione e saggistica incentrata su questioni di genere e linguistiche. Collabora in qualità di traduttrice al progetto FUSP | ZEST.


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Tolstoj (Edith E. Adams) | Good Health Review, 1904

Among modern apostles of the gospel of simplicity none is so well known nor so far-reaching in influence as Count Leo Tolstoy. The whole world has heard his plea for a simpler life, and beheld his effort to practice the gospel he preaches, a spectacle which William Dean Howells regards as “the most impressive of the century”.

The beauty of natural health and strength, and the happiness of a simple life spent with nature, “seeing, and holding converse with her,” first powerfully attracted him when a young man in the army, on an expedition to the Caucasus, a land of wonderful scenery and primitive customs.

In process of time, as his conviction deepened, he was led to forsake the palace for the fields, the aristocratic circle to which he was born, for the society of the Russian peasantry on his estate at Yasnaya Polyana. Among these he mingled on the equal footing of a common brotherhood, endeavoring by degrees to renounce all that they could not share with him on the same terms.

Abjuring all the modern luxuries common to men of his station, Count Tolstoy lives, as far as his personal habits are concerned, a life of severe simplicity. It is doubtless largely due to this fact that he is, at the age of seventy-five years, a man of tireless energy full of fire and vigor of youth, with a suppleness and activity that are the admiration and envy of a younger generation. The purity of his physical habits has enabled him to retain such mental vigor and clearness that he can at this advanced age continue his literary labors apparently without his vibrant utterances. Our illustration gives some idea of his remarkably fine physique and powerful presence, showing also the picturesque simplicity of his garb, which is that of the moujik – a long blouse loosely belted with leather, adapted to all the requirements of comfort. In earlier years Tolstoy was threatened with consumption, from which dread disease he lost two of his brothers. He finally overcame this tendency, however, by living in the Steppes in a tent, and drinking kumiss in abundance.

From conviction as to both its physiological and ethical significance, the Count is a vegetarian. He firmly believes in the high nutritive value of man’s original diet, and enjoys it accordingly. His two oldest daughters share his convictions, but the other members of his family are flesh consumers. Notwithstanding this, the Countess has, for the sake of her husband, made a special study of vegetarian dietetics, and has acquired such skill that, as she long ago remarked, she could, if necessary, “give dinners of grains, fruits, and vegetables for three hundred and sixty-five days in the year, and never duplicate one”.

Though an abstainer from liquor and tobacco, the Count at one time was addicted to the vice of copious tea-drinking so prevalent in all classes of Russian society.

The tea is served to the women in cups with cream and to the men in glasses with lemon; and it was no uncommon thing for the Count to drink twelve or thirteen glasses at one sitting. This needless and harmful self-indulgence he has since renounced as not in harmony with his principles. His favorite beverage at the present time is “barley coffee” diluted with almond cream, an altogether wholesome and nourishing drink.

One who visited the Tolstoy house-hold, arriving when the family with their numerous guests were at dinner found the Count and his eldest daughter, Mascha, very simply and plainly dressed, sitting, alone at the foot of the table, apparently eating nothing during several courses of the feast. At last a maid entered with a loaf of rye bread and a plate of pottage for each, and this constituted, on that occasion, the whole of their simple meal.

In a country like Russia, where “one is ever reminded of the fiat that he must eat and drink without the slightest reference to needs or else be regarded as morbidly unsociable,” the Count’s attitude in this respect is especially impressive. In the extreme simplicity of his diet, he is striking a blow at the idleness and sensuality that prevail among the upper classes, believing that it is best to attack first those vices which are the source for the others. One who is self-indulgent and gross in physical habits cannot successfully resist immortality. According to his view, whatever is unhealthful immoral, since morality depends in great measure upon physical purity. In harmony with this view he believes in and practices vegetarianism as “the first step toward moral living,” since flesh meat is not the proper food for human beings, “and serves only to stimulate animal passion, lust, luxury, and drunkenness,”

But while Tolstoy’s vegetarianism is based on the physiological foundation of pure and healthful living, it has also its ethical support. The painful mystery of sufferings of the brute creature appeals to his sensitive and sympathetic soul, and makes him fear to take life needlessly in order to sustain life. His objection to the taking of animal life is not so much account of the violence done to the animal, as on account of the violence that man does to himself in overcoming his innate horror of slaughtering living creatures, and in crushing the instincts old sympathy and mercy implanted in the human breast by the Creator.

A hard bed and leather bolster are essential to Tolstoy’s repose, anything softer and more luxurious only wearying him. On account of his strenuous open-air life, sleep comes easily to him, and he rises very early in the morning and takes a cold plunge in a bath situated at some distance from his dwelling, restoring circulation with vigorous gymnastic exercises. He then returns to his simple breakfast, usually consisting of oatmeal.

As a part of the gospel of simplicity Tolstoy proclaims the doctrine of labor. His ideas as to dignity of labor and the degradation of idleness were stimulated by investigation made in Moscow with view to starting philanthropic work there for the amelioration of some of its misery. Among the poor, working classes he found more happiness than he had expected. The only hopelessly useless class that he discovered were those who had belonged to the higher classes, and who, when losing their wealth, had retained their notions as to the degradation was thereby led to abandon his philanthropic projects, and devote himself to the eradication of these false views of life. His theory is that one should not live “by the labor of others, but by his own for the good others; and this he has vigorously taught by voice, pen, and practice. This doctrine, also has its physiological side; for physical health, mental clearness, and spiritual well-being.

Through long self-training in correct habits, abundance of physical exercise has become with Tolstoy so essential to mental activity that he finds himself good-for-nothing if he omits it even for a day; he can then neither read nor write, nor even listen attentively. Most of the time not devoted to literary work is spent in active exercise in the open air. His physical culture is all made to serve some useful purpose. In summer it takes the form of ploughing, mowing, felling trees, etc.; in the winter, of drawing water, chopping wood, and keeping his room in order. A part of his study is fitted with a cobbler’s outfit, and here he occupies himself on rainy days, making foot gear for himself and others. Thus, according to the light that is in him, this modern apostle endeavors to persuade men by his words, that life of useful labor is more honorable the one of pampered idleness, and that “not to be ministered unto, but to minister,” is the divine ideal.


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