Corsi di Formazione Ecological Thinking e SostenibilitàScopri di più

UNA FAVOLA PER IL FUTURO (e altre cronache dal mondo naturale)

Rachel Carson, a cura di Linda Lear
Aboca Edizioni 2023
traduzione di Isabella C. Blum


Da poco pubblicato da Aboca Edizioni, questo splendido volume compendio di scritti seminali di Rachel Carson inediti, è di rilevante interesse per comprendere gli esordi del percorso che ha consentito alla biologa marina americana di essere riconosciuta come la più grande anticipatrice del movimento ambientalista, per come lo conosciamo oggi.

Su concessione della casa editrice, che ringraziamo, è possibile di seguito leggere l’introduzione generale al volume, l’introduzione di Linda Lear la curatrice dell’opera di Rachel Carson e sua biografa, un estratto da Undersea, l’articolo che pubblicato sull’Atlantic Monthly, nel 1937, contiene le radici della visione che la Carson avrebbe poi sviluppato. 

Interessante ricordare che tra i fondatori della rivista Atlantic Monthly, nel 1857 ci fosse Ralph Waldo Emerson.

 


Introduzione

L’eredità letteraria di Rachel Carson si compone di quattro libri soltanto. Quei quattro libri, però, sono bastati a cambiare la considerazione che l’umanità riserva al mondo vivente e al futuro della vita su questa Terra. La sua reputazione letteraria si fonda principalmente su due di essi: The Sea Around Us (1951)[1] e Silent Spring (1962):[2] un’opera, quest’ultima, che ha modificato il corso della storia.

L’entità dell’impatto di Carson sulla percezione, da parte del pubblico, di temi quali l’ecologia e il cambiamento ambientale non cessa di sorprendere. Di due volumi della sua trilogia sulla vita nel mare, The Sea Around Us e The Edge of the Sea,[3] uscirono sul «New Yorker» lunghi estratti, e tutti e tre, compreso Under the Sea-Wind[4] (1941) rimasero per mesi nella lista dei bestseller pubblicata dal «New York Times». The Sea Around Us mantenne la sua posizione per un tempo record di ottantasei settimane e alla fine venne tradotto in più di quaranta lingue. Il «New Yorker» pubblicò su tre numeri anche diversi estratti di Silent Spring, il che fece di Carson – nel 1962 – la prima autrice ad avere tre opere presentate sulle sue pagine. Silent Spring fu tradotto in molte lingue e vende tuttora più di 25.000 copie ogni anno. Quando morì, nel 1964, Rachel Carson s’era ormai guadagnata una reputazione internazionale sia come naturalista sia come voce pubblica schierata a difesa della Terra. Fu la più acclamata scrittrice di scienza della sua generazione e una figura letteraria di primo piano.

L’obiettivo di Una favola per il futuro, questa raccolta di suoi scritti sconosciuti o poco noti, è di dare al lettore qualcosa che manca nel corpus più famoso dell’opera carsoniana, un’idea della sua evoluzione come naturalista e scrittrice creativa. La produzione letteraria inedita e finora sconosciuta di Carson non fa che esaltare l’importanza dell’autrice nel pensiero ambientalista. In questa antologia, la sua voce pubblica e privata parla della nostra condizione umana e di quella del nostro pianeta nell’ultimo scorcio del millennio. Con il suo contenuto di scritti giovanili, saggi scritti per giornali e riviste specializzate, discorsi, articoli e lettere, Una favola per il futuro rivela, mostrandolo da vicino, il processo intellettuale grazie al quale Carson divenne non solo una celebrità letteraria, ma una delle scrittrici e commentatrici sociali più importanti del secolo, il cui grido d’allarme ha spinto tutti noi in una nuova direzione e ha catalizzato il movimento ambientalista contemporaneo.

Il ritmo e le urgenze della vita preclusero a Rachel Carson la possibilità di realizzare un vasto corpus di scritti. Per sua natura, poi, lavorava in modo lento e metodico, riluttante com’era a spostarsi da una frase alla successiva fintanto che la prima non l’avesse soddisfatta sul piano sintattico come su quello espressivo. Il suo processo di revisione era interminabile, leggeva tutto ad alta voce, e poi se lo faceva rileggere finché non era soddisfatta del tono, degli aspetti allitterativi e della chiarezza. Perfezionista nella forma e nella struttura, Carson era anche una ricercatrice meticolosa la cui pretesa di accuratezza era leggendaria tra i suoi colleghi del governo federale, come tra i suoi assistenti e i suoi editor.

Ho appreso con sollievo che – con la sola eccezione delle feature stories scritte per il «Baltimore Sun» negli anni trenta – Carson non finì mai un manoscritto o un articolo nei tempi previsti. Per contro, è stato davvero penoso ricostruire il peso schiacciante delle responsabilità familiari e delle pressioni emotive che le impedirono di realizzare il corpus di lavoro che sognava e per creare il quale avrebbe avuto tutto il talento e la visione necessari.

A partire dalla fine degli anni trenta, Carson mantenne se stessa, sua madre, sua sorella e successivamente le due figlie di questa, insieme al pronipote[5] che poi adottò nel 1957. Una carriera di quindici anni in vari dipartimenti governativi come biologa marina ed editor la costrinse a relegare la scrittura alla sera e nel tempo sottratto alle incombenze del fine settimana; nondimeno, servì anche a farle approfondire tanto la conoscenza del mondo vivente quanto l’impegno a proteggerlo.

Il successo letterario di The Sea Around Us le portò una certa sicurezza economica consentendole, dopo il 1952, di dedicare tutto il suo tempo alla scrittura. Godette tuttavia di quella libertà solo per qualche anno, prima che il declino fisico della madre, la morte della nipote e le esigenze di un bambino piccolo tornassero a sottrarre tempo al suo lavoro creativo e le drenassero energie emotive. Gli ultimi cinque anni della sua vita furono una lotta contro il tempo e contro una malattia terminale. Per completare e difendere Silent Spring, mentre combatteva un cancro al seno aggressivo e maldiagnosticato, Carson sopportò gli effetti collaterali dei trattamenti e la devastazione di quello che definì un intero «catalogo di malattie». A sorprendere non è che abbia scritto così poco, ma che sia riuscita a produrre tutto ciò che di fatto scrisse.

Rachel Carson aveva progetti per almeno altri quattro lavori importanti. In particolare, aveva raccolto materiale per uno studio scientifico sull’evoluzione, e aveva un contratto per un libro che prevedeva un’altra analisi dell’ecologia, più filosofica. Aveva anche cominciato a rivedere e ampliare un precedente articolo, scritto per una rivista, sull’esplorazione del mondo naturale con i bambini, ed era affascinata dalle nuove scoperte sull’atmosfera e sul clima al punto che sperava di scrivere qualcosa in questo campo scientifico emergente. I lavori letterari di Carson mostrano la ricca gamma di argomenti sui quali, in un modo o nell’altro, s’era impegnata a scrivere, e molti altri a cui sperava un giorno di avere il tempo di dedicarsi. Ma il tempo finì nell’aprile del 1964.

Una favola per il futuro ci aiuta a colmare il divario tra i desideri di Carson e ciò che effettivamente riuscì a realizzare. I pezzi tratti dai suoi taccuini sul campo e soprattutto dai suoi discorsi pubblici le permettono di arrivare a generazioni che non l’hanno sentita parlare né l’hanno mai vista nelle sue poche apparizioni televisive. Benché non avesse mai pensato a se stessa come a una figura pubblica, Carson lo divenne, e fu anche un’abile oratrice, la cui integrità catturava allo stesso modo l’attenzione del cittadino medio e quella di figure politiche potenti. Gli articoli sulla storia naturale della regione di Chesapeake, l’acume politico esibito in diverse lettere a giornali e il sostegno a un’ampia varietà di sforzi finalizzati alla conservazione e alla tutela aggiungono nuovi dettagli all’immagine di un’autrice che di fatto è più conosciuta per i suoi testi poetici sul mare e per le critiche incisive sulle sostanze chimiche tossiche.

In massima parte, gli scritti selezionati per Una favola per il futuro sono quelli che ho scoperto tra le carte di Carson, conservate alla Beinecke Rare Book and Manuscript Library della Yale University, nel corso della mia ricerca per Rachel Carson: Witness for Nature.[6] Sono stati scelti per la loro qualità letteraria, in quanto esempi di pensiero ambientalista importante, e per le idee originali che offrono sull’evoluzione dell’autrice sia come scienziata sia come scrittrice di scienza.

Alcuni di essi testimoniano l’esistenza di argomenti per i quali Carson aveva un intenso interesse, ma sui quali non ebbe mai l’opportunità di scrivere in modo approfondito. Altri pezzi – compresi un articolo comparso su «Holiday», la prefazione alla seconda edizione di The Sea Around Us e «Fable for Tomorrow» [Una favola per il futuro], tratto da Primavera Silenziosa – furono pubblicati mentre Carson era in vita, e meritano un’attenzione particolare. Alcuni uscirono invece postumi, e sono qui inclusi per la loro qualità scientifica e letteraria, oltre che per la loro importanza biografica. Altri ancora furono pubblicati su giornali o riviste e in qualche caso come documenti governativi, e ormai non sono più in stampa.

In un’occasione Carson disse alla sua amica Dorothy Freeman che considerava i propri effettivi contributi scientifici meno importanti dei tentativi di risvegliare nel pubblico una reazione emotiva nei confronti della natura. In un articolo del 1956 sull’esplorazione della natura con i bambini, spiegando l’intento con cui scriveva, Carson disse: «Una volta che le emozioni sono state risvegliate – che si è risvegliato un senso del bello, un’emozione per il nuovo e l’ignoto, una sensazione di simpatia, pietà, ammirazione o amore – ecco che desideriamo conoscere l’oggetto della nostra risposta emotiva. Una volta trovata quella conoscenza, essa acquista un significato duraturo».

La donna, la scienziata, la riformatrice e soprattutto la scrittrice che emerge da questa raccolta combinava con eleganza scienza ed emozione, ragione e umanità. Una favola per il futuro riconosce a Rachel Carson una voce nuova e più completa a sostegno della natura.

Qui il lettore troverà ulteriori evidenze della centralità delle relazioni ecologiche nel pensiero di Carson, come pure della sua interpretazione dell’ontologia ambientale: l’unità della natura. Esposta in queste pagine si trova anche l’angoscia dell’autrice per il futuro della tecnologia nucleare e per come essa potrebbe alterare l’intricato tessuto della vita.

I testi qui presentati mostrano però anche, per la prima volta, che il ben noto appoggio di Carson alla tutela della natura e alla conservazione della fauna selvatica era rivolto in modo particolare alla protezione dei litorali del paese rimasti vergini, aree che ai suoi tempi stavano rapidamente scomparendo.

Due pezzi testimoniano il profondo interesse dell’autrice per i diritti degli animali. Questi temi erano una naturale estensione della sua devozione di sempre per la vita. Se fosse vissuta più a lungo, di certo sarebbe diventata più attiva sul piano politico e avrebbe scritto a favore di un trattamento umano degli animali nei laboratori come negli allevamenti.

Quando morì, Carson aveva appena cominciato a esplorare le evidenze del cambiamento climatico globale. La ricerca per lo script televisivo sulle nuvole, del 1957, riaccese l’antico interesse per i venti e la temperatura atmosferica: un tema che aveva studiato e su cui aveva scritto in The Sea Around Us. Desiderava dedicarsi a quell’argomento, e già allora era convinta dell’importante relazione tra attività umana e alterazioni climatiche.

Carson ha molto da insegnare ai cultori dell’ecologia profonda come pure ai decisori in materia di politiche ambientali nel momento in cui costoro si scontrano con il dilemma morale di moderare o meno le proprie richieste e conformarsi alla realtà politica. Molti troveranno ispirazione negli editoriali di Carson e nei suoi discorsi su come creare condizioni che favoriscano la riforma ambientale. Il modo in cui Carson interpretava il processo politico e l’esigenza di flessibilità e compromesso – ma anche di rigore intellettuale – può soltanto incoraggiare coloro che, come lei, sono alla ricerca di una via per smuovere un sistema democratico allontanandolo da un punto di stallo.

Infine, ho scelto di includere nella raccolta diversi pezzi di carattere personale. I taccuini sul campo di Carson sono pieni di osservazioni biologiche ed ecologiche incisive, ma contengono anche descrizioni poetiche che catturano istanti di sorprendente umanità. Analogamente, nelle lettere ai suoi amici e vicini del Maine Dorothy e Stanley Freeman, a Curtis e Nellie Lee Bok, e al suo medico George Crile Jr., Carson rivela il proprio intenso amore per il mondo vivente e – nel farlo – il suo pacato coraggio.

Boschi perduti non contiene soltanto gli scritti di una delle grandi scrittrici e pensatrici del nostro tempo, portati ora alla luce: la raccolta mostra anche una Rachel Carson completamente nuova. La sua vita pubblica, in apparenza calma e tranquilla, mascherava la passionalità del privato, come pure la complessità del suo amore per il mondo della natura e il suo impegno per tutelarne l’integrità. È mia speranza che in questa nuova raccolta i lettori possano trovare e apprezzare la voce dell’autrice, una voce poliedrica e senza tempo.

Linda Lear


Parte Prima

Gli scritti raccolti nella prima parte di Lost Woods riflettono la varietà dei primi interessi di Carson e lo sforzo di trovare al tempo stesso un soggetto e uno stile per la sua scrittura. La sezione si apre con il saggio Undersea (In fondo al mare), un pezzo tipicamente indagatore e poetico che – quando venne pubblicato sull’“Atlantic Monthly”, nel 1937 – inaugurò la carriera letteraria dell’autrice. Questa parte della raccolta si conclude con alcuni brani tratti da Mattamuskeet, uno dei cinque opuscoli della serie Conservation in Action che Carson scrisse e curò per lo U.S. Fish and Wildlife Service. Seconda donna assunta dall’agenzia come professionista, nei suoi quindici anni di carriera per il governo federale Carson passò da biologa marina a editor-in-chief di tutte le pubblicazioni dell’FWS.

Mattamuskeet riflette la scrittura sicura di sé di una scienziata matura che conosce il proprio campo, sa a chi si rivolge ed è consapevole della propria missione pubblica: quella di informare. Mostra anche la percezione che Carson aveva dell’intricata ecologia di un habitat naturale, insieme al suo desiderio di comunicare l’importanza di queste relazioni ecologiche.

Fra questi due pezzi della raccolta c’è un significativo esempio di scritto giovanile e diversi articoli per il “Baltimore Sun”, a dimostrare sia l’interesse che l’autrice nutrì nell’arco di tutta la vita per la tutela della fauna selvatica; sia la sua visione scettica dell’interferenza degli esseri umani con il mondo naturale; sia, infine, il suo appassionato interesse per gli uccelli. Due frammenti letterari inediti degli anni quaranta testimoniano il perfezionamento di Carson come naturalista e scrittrice sui temi della natura. Nel loro complesso, questi scritti schiudono una finestra sulla sua iniziale presa di coscienza ecologica e sulla sua evoluzione come naturalista.

1

[1937]

Undersea (In fondo al mare)

In origine il titolo di questo pezzo scritto nel 1935 come introduzione a una brochure dello U.S. Bureau of Fisheries – era The World of Waters (Il mondo delle acque). Il supervisore di Carson lo ritenne giustamente troppo poetico per un rapporto governativo e la incoraggiò a inoltrarlo all’“Atlantic Monthly”, dove venne poi pubblicato dal direttore Edward Weeks. In seguito Undersea divenne la base del primo libro di Carson, Under the Sea-Wind (1941) che rimase lo scritto preferito dall’autrice.

Il titolo Undersea fu suggerito dal direttore dell’“Atlantic”, rimasto impressionato dal modo in cui Carson esponeva la scienza, «al punto da accendere l’immaginazione del profano». La sua pubblicazione segnò il debutto letterario dell’autrice quale voce letteraria di valore.

Qui Carson passa in rassegna creature marine ordinarie e bizzarre dalla prospettiva immediata di un osservatore subacqueo, rendendo così accessibili il mistero e la bellezza di quel mondo al lettore privo di formazione scientifica. Undersea introduce due dei temi distintivi di Carson: l’ecologia – antica e permanente – che domina la vita dell’oceano; e l’immortalità materiale che abbraccia anche l’organismo più piccolo. Come ammise in seguito lei stessa, da queste pagine straordinarie comparse sull’“Atlantic”, «seguì tutto il resto».

Chi ha mai conosciuto l’oceano? Con i nostri sensi ancorati alla terra, né voi né io conosciamo la schiuma e l’onda di marea che monta e sbatte sul granchio mentre lui si nasconde sotto le alghe della pozza che gli fa da casa; né conosciamo il ritmo delle onde lunghe, lente, in mezzo all’oceano, dove banchi di pesci erranti predano e sono predati e dove il delfino squarcia i flutti per respirare l’aria che sovrasta la superficie. E nemmeno possiamo conoscere le vicissitudini dell’esistenza sui fondali, dove la luce del sole, filtrando attraverso una trentina di metri d’acqua, non crea altro che un fugace crepuscolo azzurrognolo in cui abitano la spugna e il mollusco, la stella marina e il corallo, in cui sciami di minuscoli pesci scintillano nella penombra come una pioggia argentea di meteore e le anguille stanno in attesa tra le rocce. Ancor meno è concesso agli esseri umani di scendere per quei quasi diecimila inconcepibili metri nei recessi degli abissi, dove regnano silenzio assoluto, gelo costante e notte eterna.

Per intuire questo mondo delle acque noto alle creature marine dobbiamo liberarci delle nostre percezioni umane di lunghezza e larghezza, di tempo e spazio, ed entrare per immedesimazione in un universo dove l’acqua tutto pervade. Per i figli del mare, infatti, nulla è importante come la fluidità del loro mondo. È acqua ciò che essi respirano; è acqua ciò che porta loro il cibo; è attraverso l’acqua che vedono – grazie alla luce solare, cui sono sottratti prima i raggi rossi, poi i verdi e infine i viola; ed è sempre attraverso l’acqua che avvertono vibrazioni equivalenti ai suoni. E in effetti non è nulla di più o di meno dell’acqua marina – in tutte le sue mutevoli condizioni di temperatura, salinità e pressione – a formare le invisibili barriere che confinano ogni tipo di creatura in una zona particolare: una sulla linea di costa, un’altra in corrispondenza d’uno strapiombo sottomarino sui lontani pendii della piattaforma continentale, e un’altra ancora, forse, in uno strato appena definito che si trova alle medie profondità oceaniche.

In proporzione, gli esseri viventi il cui stile di vita muta costantemente, abbracciando tanto la terra quanto il mare, sono pochi. Tali sono le creature delle pozze di marea scavate tra le rocce e quelle delle piane tidali che declinano allontanandosi dalle dune e dalle ammofile, e avanzano verso la riva. Tra la linea della bassa e dell’alta marea, quest’ultima segnata dai detriti, la terra e il mare sono coinvolti in un interminabile conflitto per il possesso.

Proprio come sulla terra il sopraggiungere della notte porta un cambiamento al volto di campi e foreste, spingendo alcune creature selvatiche nel rifugio sicuro dei loro cunicoli e richiamandone altre ad aggirarsi furtive in cerca di cibo, allo stesso modo, in larga misura, con la bassa marea le creature acquatiche scompaiono dalla vista, e al loro posto arrivano dalla terra predoni che frugano nelle pozze ed esplorano la sabbia per stanare la fauna del litorale in silenziosa attesa.

Per due volte, tra un’alba e la successiva – quando le acque smettono di inseguire il richiamo della luna e, una spanna dopo l’altra, arretrano – la littorina, la stella marina e il granchio restano alla mercé della sabbia. Ogni ciuffo di alghe inzuppate d’acqua salata, ogni pozza dimenticata dal mare mentre arretrava nei recessi della spiaggia o della roccia, offre un riparo dal sole e dalla rena bruciante.

In quegli oceani in miniatura che sono le pozze di marea, le spugne del tipo più semplice incrostano le rocce, ciascuna aspirando famelicamente dalla miriade delle sue bocche l’acqua carica di nutrienti. Stelle marine e anemoni di mare sono comuni abitanti di queste pozze delimitate dalle rocce. Le lumache di mare – chiazze brillanti di rosa e di bronzo, cugine nude senza conchiglia delle chiocciole – aprono all’acqua le branchie arborescenti; nel frattempo, i vermi tubicoli, architetti delle pozze di marea, scolpiscono le loro coniche residenze fatte di granelli di sabbia cementati l’uno contro l’altro in un luccicante mosaico.

Sulla sabbia, i bivalvi scavano in cerca di frescura e umidità; le ostriche, in particolare, serrano le proprie conchiglie – che tutto escludono – in attesa del ritorno dell’acqua. I granchi si affollano in umide caverne rocciose sulle cui pareti si aggrappano le littorine. Colonie di gamberi simili a gnomi trovano rifugio sotto i filamenti gocciolanti di vegetazione bruna, della consistenza del cuoio, ammucchiata sulla spiaggia.

Gli invasori provenienti dalla terraferma incalzano il mare in ritirata. Di giorno, sulla spiaggia, chiacchierano gli uccelli costieri, mentre di notte strisciano sulla sabbia umida legioni di granchi fantasma. Il primo tra i predoni è forse l’uomo, che sonda le soffici piane tidali e tuffa le reti in acque basse.

Poi, ecco sopraggiungere un’increspatura esitante, poi un’altra ancora – e finalmente monta l’onda piena della marea che avanza. Gli abitanti delle pozze si svegliano, i bivalvi si agitano nel fango. I cirripedi schiudono le piastre e cominciano a filtrare ritmicamente l’acqua. Nelle acque basse, quando i vermi tubicoli protendono cauti i tentacoli, ecco che – uno per uno – sbocciano fiori dalle tinte brillanti.

L’oceano è un luogo di paradossi. È la dimora del grande squalo bianco, il killer dei mari, con i suoi 900 chilogrammi, e della balenottera azzurra, lunga 30 metri, il più grande animale mai esistito. Ma è anche dimora di creature così piccole che tra le mani se ne possono raccogliere tante quante le stelle della Via Lattea. Ed è grazie alla fioritura, in numero astronomico, di queste minuscole alghe, le diatomee, che la superficie dell’oceano è in effetti un pascolo sconfinato. In ultima analisi, ogni animale marino, dal più piccolo fino agli squali e alle balene, dipende per il proprio nutrimento da queste microscopiche forme di vita vegetale oceanica. All’interno delle loro fragili pareti, il mare mette a segno una fondamentale alchimia che utilizza gli sterili elementi chimici disciolti nell’acqua, e li combina con la luce solare producendo la materia della vita. Solo grazie a questa sintesi, peraltro poco compresa, di proteine, grassi e carboidrati da parte di una miriade di alghe «produttrici», la ricchezza minerale del mare è resa disponibile ai «consumatori» animali che pascolano galleggiando nelle correnti. Portate alla deriva senza sosta, a metà strada fra il mare d’aria sovrastante e le profondità abissali sottostanti, queste strane creature, insieme alla fioritura acquatica che le sostiene, sono definite «plancton»: i vagabondi.

1 Rachel Carson, Il mare intorno a noi, trad. it. di G. Mainardi, Piano B, Prato 2019. [Precedenti: trad. it. di G. Ianuzzi, Casini, Roma 1952; trad. it. di G. Mainardi, Einaudi, Torino 1973; trad. it. di F. Frasca, Orme, Roma 2011]
2 Rachel Carson, Primavera silenziosa, trad. it. di C.A. Gastecchi, 7a edizione, Feltrinelli, Milano 2016.
3 Rachel Carson, La vita che brilla sulla riva del mare, trad. it. di I. C. Blum, Aboca, Sansepolcro 2022.
4 Rachel Carson, Al vento del mare, trad. it. di M. Hannau, Casini, Roma 1955. Di prossima pubblicazione per i tipi di Aboca, nella traduzione di Isabella C. Blum.
5 Roger, figlio illegittimo della nipote Marjorie, rimasto orfano a 5 anni.
6 Linda Lear, Rachel Carson: Witness for Nature, Henry Holt and Co., New York 1997.

Share

Una favola per il futuro di Rachel Carson

error: Content is protected !!