UNA STORIA ERETICA | Racconto di Branko Ćopić
Traduzione dal serbo-croato: Aleksandra Ivić
Pubblichiamo con piacere un racconto di Branko Ćopić, scrittore serbo (Hasani, Bosnia, 1915 – Belgrado 1984)
Narratore prima della guerra (Pod Grmečom “Sotto il Grmeč”, 1938, Planinci “I montanari”, 1940), divenne poi uno dei più popolari poeti del movimento dei partigiani (Pjesme “Poesie”, 1945). Tra le sue opere successive: Izabrane pripovijetke (“Racconti scelti”, 1946), Prolom (“La rottura”, 1952), Doživljaji Nikoletine Bursača (“Le avventure di Nicolone Bursač”, 1956), Gluvi barut (“Sorda polvere da sparo”, 1957), Ne tuguj, bronzana stražo (“Non ti rattristare, o guardia di bronzo”, 1958), Osma ofanziva (“L’ottava offensiva”, 1964), Delije na Bihaću (“Eroi sul Bihać”, 1975). Ha scritto anche per l’infanzia (Čarobna šuma “Il bosco incantato”, 1957).
Nota della traduttrice Aleksandra Ivić
Branko Ćopić è stato uno dei più significativi e popolari scrittori jugoslavi della seconda metà del XX. Di famiglia serba, nato e cresciuto in Bosnia e Herzegovina, vicino al fiume Una e sotto la montagna di nome Grmeč, Branko Ćopić visse un’infanzia serena, nonostante fosse rimasto assai presto orfano di padre e nonostante la povertà con la quale si dovette convivere all’epoca. Con la madre, fratelli, il nonno e gli zii, tra pascoli e libri, ascoltando storie e leggende tramandate oralmente dal nonno Rade e leggendo molto, Branko presto mostrò e sviluppò la sua inclinazione letteraria.
Dopo aver fatto le scuole “obbligatorie” (elementare e superiore), Branko si iscrisse all’Università di Belgrado, dove si laureò in filosofia. Prese parte alla lotta antifascista e da subito, dopo l’occupazione della Jugoslavia (Regno di Jugoslavia) da parte dei tedeschi, si schierò con i partigiani di Tito. Questa sua partecipazione attiva alla Resistenza nelle file dei partigiani e antifascisti segnerà molto di seguito la sua formazione personale e letteraria.
Dopo la guerra, nella nuova Jugoslavia socialista di Tito, Branko vive a Belgrado, felicemente sposato nel 1951, scrivendo e lavorando come direttore editoriale di un giornalino per ragazzi, Pionir. Scrive molto: poesie, racconti, romanzi. I suoi libri sono amati in tutte le parti dell’allora Jugoslavia e i lettori appassionati sono sia i piccoli che i grandi; forse le sue opere più conosciute sono proprio quelle dedicate all’infanzia, al suo paese d’origine Hašani (in Bosnia) e a tante avventure dei personaggi ispirati a volte dalle persone realmente esistite, altre volte erano il frutto della sua fantasia.
Infatti, se penso a Branko Ćopić, ricordo un metro dei libri rossi con le scritte dorate sulle copertine, nella libreria dei miei genitori in Serbia, Opera Omnia di Branko in diversi volumi, letti tutti, prima quelli più adatti all’età di una giovane lettrice della scuola elementare (ad esempio, Orlovi rano lete – Le aquile volano presto, mi viene in mente all’istante) e poi man mano che crescevo, altri romanzi di Branko (“Osma ofanziva” – L’ottava offensiva, “Bašta sljezove boje” – Il giardino color malva, “Prolom” – Breccia e “Gluvi barut” – Sorda polvere da sparo, per menzionare qualche titolo) . I personaggi nei libri di Branko erano spesso persone semplici e umili, contadini della sua terra natia oppure ragazzi, bambini, nonni, per questo veniva letto molto volentieri, ma allo stesso tempo ad un certo punto iniziava a “dare nell’occhio” al Sistema. Infatti, viene presto (negli anni Sessanta del XX secolo) considerato “un traditore”, uno che non scriveva molto sui temi “importanti come Nazione, Partito e Socialismo reale, uno che non si spendeva troppo per la “causa” nelle sue opere letterarie. O peggio, che osava criticare il sistema usando la satira come strumento.
Questo atteggiamento del Partito comunista (Lega dei Comunisti) e dell’Amministrazione della sicurezza nazionale (UDBA) nei confronti dello scrittore, è solo l’inizio di un’agonia che Branko vive nei successivi 20 anni fino alla sua morte. Il suo umorismo, la sua risata spesso satirica, le sue storie con degli elementi comico-tragici, che dopo la risata lasciavano sempre l’amaro in bocca, erano per il Partito prove sufficienti di un suo “tradimento ideologico”.
Soprattutto dopo “Una Storia Eretica”, il racconto satirico pubblicato per la prima volta nel 1950.
Purtroppo, anche se ormai settantenne, Branko non riesce più a reggere, tanto fu grande la delusione (la “creazione di un’illusione”, oppure il grande comandante Tito – “che è uscito da una fiaba e dopo la guerra ci è tornato”); un dossier nella polizia segreta su tutto quello che scriveva e faceva, i frequenti colloqui con delle autorità, ma soprattutto veder scomparire un paese, grazie anche alle stesse persone che l’avevano costruito… Decide di farla finita in modo tragico, buttandosi da un ponte che oggi porta il suo nome. Succedeva nel 1984, qualche anno prima della dissoluzione della sua Jugoslavia. Le autorità in una breve nota dichiarano soltanto che la sua morte è la conseguenza di una specie di “esaurimento nervoso”.
Branko Ćopić rimarrà per sempre nei ricordi di tutti noi che abbiamo vissuto nella ex-Jugoslavia come un allegro narratore di tante belle storie che ci hanno fatto ridere, divertire, commuovere e piangere. Una sorridente, sensibile e tenera anima balcanica che sapeva riconoscere il bene e il male, che non voleva scendere ai compromessi, chiudendo gli occhi davanti all’evidenza, colui che poteva vedere benissimo non solo quello che succedeva attorno a lui stesso, ma anche quello che sarebbe successo a tutti noi non molto tempo dopo la sua morte. Amava la vita ma allo stesso tempo ne soffriva tanto. Per questo, nella sua ultima lettera, prima di gettarsi nel fiume Sava, Branko scrive: “Addio, vita bella e terribile”.
Rimarranno per sempre i suoi personaggi che lui magistralmente ha saputo creare e le sue storie, calde, morbide e piene di ricordi di un tempo che fu.
UNA STORIA ERETICA (Branko Ćopić)
Una grande villa, circondata da mura e aperta solo verso il mare, sorge vicino a una pietraia secca e ripida. Faccio fatica a vederla, nascosta tra pini e cipressi. L’hanno costruita ai tempi della vecchia, marcia, impopolare Jugoslavia e via dicendo…
Davanti alla villa, un piccolo terrazzo coperto da un pergolato di edera e orlato da una ringhiera di ottone. Sotto, una decina di gradini più in giù, una spiaggetta, una piscina e un molo basso per piccole barche.
A destra della villa, un centinaio di metri oltre, si apre l’arco della grande spiaggia di sabbia. Alle spalle della spiaggia si estende una spianata verde di vegetazione rigogliosa, dalla quale fanno capolino i tetti e splendono le mura di numerose case di villeggiatura1.
Sulla terrazza della villa, ombreggiata e fresca, una piccola compagnia se ne sta in silenzio, annoiata: il ministro Stef Jovanovi, sua cognata, il vice-ministro con la moglie, il generale Stevo Navala, quindi un pezzo grosso di una qualche importante istituzione, e un altro pezzo grosso non meglio definito di cui nessuno sa con certezza di cosa si occupi (il quale tace sempre, saggiamente, con un contegno autorevole), alcuni anziani e infine un assessore il quale osserva severamente e con aria sospetta i cipressi, il mare, le barchette e una nuvoletta che si addensa sopra lo spazio della villa.
La cognata del ministro (una studentessa che va all’università in auto) e la moglie del viceministro sono appena tornate dalla città. Hanno fatto una passeggiata, con portamento fiero, rendendo onore alla città vecchia e al sole che la illuminava e, con i capelli al vento, sono tornate sfrecciando a marcia indietro, facendo scappare alcuni pedoni lungo la strada (i loro nasini, naturalmente, stavano in su, come si conviene). Adesso entrambe sono sedute in un angolo, non lontano dal ministro, e si raccontano le avventure della mattina.
– E chi era quel ciccione bruttino che ti ha salutato vicino alla fontana? – s’interessa la cognata, tra l’altro in età da marito da molto tempo.
– Quale ciccione? – inarca il sopracciglio la moglie del vice. – Ah, lui è un colonnello, è ancora scapolo.
– Aaa, un compagno carino, simpatico – strascica le parole la cognata e chiede: – E quel ragazzo carino? Ti ricordi, ti ha fatto un cenno con la mano dal bastione?
– Quello? – sussurra acidamente la moglie del vice. – Uno studente, amico di mio fratello.
– È proprio un insolente – corruga la fronte la cognata. Guarda in un modo così arrogante e ha un’aria un po’ … Ce n’è di gente poco educata… Si permettono troppa libertà.
– Troppa, troppa – concorda la vice.
Non lontano da loro, la grande spiaggia fa rumore, applaude e urla. Il generale Navala scende dalle scale silenziosamente, nuota in modo solo apparentemente noncurante, oltre il muro, quando poi getta un’occhiata alla villa, e dando dei tonfi nell’acqua, scappa verso la grande spiaggia. Lì, ancor prima che esca dall’acqua, lo riconoscono e lo accolgono esultando.
– Ah, eccolo, eccolo!
– Oh, finalmente ci si rivede! Vieni qui!
Già dopo un minuto quel generale importante e svogliato, in terrazza si trasforma in un ragazzo sorridente e chiacchierone. Ride di gusto, socchiude gli occhi al sole e chiede a un giovanotto dal colorito scuro, un tempo suo corriere:
– Senti, Milojica, è possibile trovare un posto da voi nella casa vacanza? Non mi va di stare lì di fronte.
– Ci sarà sicuramente. Domani se ne vanno alcuni della nostra azienda.
In terrazza ancora silenzio. Ogni conversazione muore in fretta e di nuovo regna maestosa la noia.
– Siete passate per la grand’osteria? – chiede il vice alla moglie.
– Ma no! Era piena di gente, impossibile trovare un solo posto.
– Eh, ma c’è una bellissima terrazza, con vista sul mare – sospira la cognata.
– Lì bisognerebbe permettere di entrare solo con dei permessi speciali, come il nostro, ti ricordi? Così almeno ci sarebbero sempre dei posti liberi, non verrebbe chiunque.
– Che ci vuoi fare! – scrolla le spalle il vice.
Il compagno ministro tace pensieroso. Da una parte, il cuore lo spinge verso la grande spiaggia, tra la gente, dall’altra, gli pare di perdere qualcosa della sua autorità se si mescola con la gente semplice. Così, separato dalla massa, si crede assai più importante, più bravo e più saggio, un uomo eletto, eppure sente un vuoto nell’anima, come se non fosse nel luogo giusto per lui.
Piano e con agilità, ondeggiando un po’ con le anche, si avvicina al ministro il direttore di un grande hotel. Da un paio di giorni si trova lì nell’albergo, un po’ come ospite, un po’ come principale fornitore e consulente. Conosce quasi tutti i ministri, generali e altre “persone importanti”, come dice lui stesso.
– Compagno ministro, in una casa di villeggiatura c’è uno splendido biliardo, e a lei, a quanto ne so io, il biliardo piace… prende a dire a bassa voce, sussurrando discretamente.
– Forse piace anche ai compagni di quella casa di villeggiatura – involontariamente sfugge al ministro e, come se volesse liberarsi la coscienza, aggiunge decisamente: – No, non occorre.
– Non occorre! – gli fa eco in tono di approvazione il direttore e poi, cercando la maniera di raddolcire il ministro, gli si avvicina di nuovo all’orecchio e dice mellifluamente: – ma come nuota, lei – smack! – fa un gesto rumoroso con le labbra baciandosi le punte delle sue tre dita.
– Ah, hai visto? – all’improvviso si abbaglia e si rianima il ministro – E non è passata nemmeno una settimana da quando ho imparato.
– Ed è anche piuttosto dimagrito, è quasi senza pancia – continua il direttore.
Jovanovi, non convinto, misura la sua figura massiccia, e quando il direttore gliene dà nuovamente conferma, pare anche a lui di non avere più la pancia.
– Eh, si dimagrisce, si dimagrisce.
Il direttore, contento, torna in direzione della cucina, mentre il ministro si osserva compiaciuto e sorride.
La cognata chiacchierona per un attimo ferma la lingua, allunga il collo e, come se si fosse improvvisamente ridestata, gira di qua e di là la sua testa da scoiattolo.
– E dov’è il generale, dove sono?
– Forse sono di là – storce la bocca la moglie paffuta del viceministro e con il pollice sopra le spalle indica dove, secondo lei, quel “di là” conduce, “inghiotte” e irreparabilmente rovina la gente fino a poco prima perbene. – Eeeh, hanno proprio trovato la giusta compagnia! Sta’ attento, si sente anche il nitrito dei cavalli, da lì!
– Molto importante – risponde rabbiosa la ragazza e mormora ironicamente, tra sé e sé: – Forse d’estate va di moda corteggiare gli stakanovisti.
– Può darsi. Attrici e ballerine sono lasciate alla stagione invernale – aggiunge maliziosamente la moglie del vice, prendendo di mira chissà chi, in quella compagnia.
Sotto la piccola spiaggia si sentono tonfi d’acqua e un pronunciato, barbaro sbuffare di qualcuno. Una faccia bagnata con prepotenti occhi chiari, arrivata sicuramente dalla spiaggia grande, sbircia curiosa la compagnia solitaria, sale in terrazza e battendo con le mani sul costume da pochi soldi, allunga il collo verso il piccolo banco sotto il balcone.
La compagnia tace quasi disgustata e fa finta di non notare l’intruso. Finalmente si alza l’assessore e s’avvicina allo sconosciuto.
– Cosa sta cercando, compagno?
– Hai qualcosa di freddo da bere, qui? – chiede benevolmente il nuovo arrivato, facendo tintinnare le monetine nella tasca bagnata e confidando che l’assessore sia un padrone di casa ospitale.
– Qui è vietato … – fa seriamente l’assessore, ma il tipo, ingegnoso, si è già incamminato verso il bar e chiama allegramente il cameriere:
– Hey, uno spritz, un po’ più forte, per il fratello.
All’improvviso al ministro balena in mente qualcosa e getta una veloce occhiata al visitatore sconosciuto, il quale sta già tornando, dopo essere stato sgarbatamente servito al bar.
– Sì, è lui.
Ha riconosciuto in lui quel gran lavoratore e innovatore al quale aveva personalmente consegnato il premio e la relativa medaglia la primavera passata, e ora, come fosse stato scoperto in cattiva compagnia, è arrossito e ha piegato la testa per non essere riconosciuto dall’operaio.
– Al diavolo, cosa direbbe il tipo se vedesse anche me?!
Sua cognata nel frattempo, avvolta da una noia mortale, gira la testa sulla sedia a dondolo e chiede:
– Perché non portate qui la musica che c’è nel grand’hotel in città? A me qualche volta non dispiacerebbe ballare la sera.
Al ministro comincia a salire la rabbia:
– Ma per piacere, lì ogni sera arrivano un centinaio di persone. Come fai a prendere da loro la musica e portarla qui, in questa … questa… ?
La cognata inarca le sopracciglia, meravigliata:
– Oh, mio Dio, qui ci sono tutti compagni responsabili.
– Compagni responsabili. E allora? – si irrita Stef Jovanovi, ma nemmeno la cognata si dà per vinta, e lo interrompe:
– Già, mi avete proprio assicurato una bella vacanza. Chiunque può fare irruzione quando gli pare. E ti ricordi quando siamo stati qui per la prima volta?
– Sì, mi ricordo… è stato due anni fa, durante il corso dei baciuska.2
La cognata si morde la lingua e di malavoglia si gira verso la sua amica, la quale approva sussurrando:
– Non era poi così male la linea dei baciuska. Non sarà mica meglio questa di oggi: durante una conferenza qualsiasi vecchia ti può criticare per qualsiasi cosa.
– Ma sì, democrazia socialista – brontola ironicamente la studentessa. – Arrivi all’università in macchina, e già tutti scoppiano d’invidia: la cosa migliore oggi, dicono, è essere cognata del ministro.
– Già, vedi…
Sopra l’orlo cementificato della spiaggia, spunta dall’acqua una faccia beffarda e furba. Il tono di voce del nuovo arrivato è un po’ più alto del solito, di quello socialmente accettabile, caratteristico della compagnia della terrazza:
– Ehi, vieni qui – dai, ministro, fai vedere all’amico come nuoti.
Il ministro balza in piedi, contento di avere l’occasione di poter dimostrare davanti a qualcuno le sue capacità. La cognata guarda la moglie del vice in modo interrogativo:
– Chi sarà ora questo?
– E che ne so, ci siamo conosciuti una volta, da qualche parte. È un artista, uno scultore, o scrittore, non ricordo… Cos’è quello? – chiede la moglie del viceministro al marito.
– Eh, cos’è. Uno che batte gli onorari, ecco cos’è! – ruggisce il vice, con fastidio e malumore.
– E lo rispettano i nostri compagni? – s’interessa la cognata, non distogliendo lo sguardo dall’ospite. Uno sguardo interrogativo e vago, come se dicesse: “Aspetti un attimo, prima devo vedere chi è lei, forse le sorriderò anche.”
Stef si butta in acqua e muove le braccia. Il suo amico fa un ghigno:
– Nuoti male, amico, da pensionato.
Il ministro aggrotta la fronte, un po’ offeso:
– Sei sempre stato un brontolone. Altri mi dicono che nuoto bene.
– E dicono bugie, sul serio. Non credergli, sei ingrassato, amico, troppo, non va bene così.
– Ecco!! – si meraviglia il ministro, ma il viso del suo amico è così disteso e sereno che si mette a ridere anche lui.
Nuotano un po’, insieme, sempre vicini alla riva, finché a un certo punto il ministro prende a lamentarsi:
– Mi sono rotto le scatole, amico, in quell’ambiente monotono. Non c’è altra via di uscita, dovrò venire da voi, sulla spiaggia grande, tutti i giorni, o mi trasferirò in qualche luogo di villeggiatura del sindacato.
– E non hai paura della tua autorità? – lo interroga, furbo e briccone, l’artista.
Stef raggiunge la zona poco profonda, si drizza e con il gesto di chi finalmente desidera liberarsi di convinzioni non ancora consolidate riguardo al proprio valore superiore, si batte sul petto, rabbiosamente:
– E sai cosa, non ho mai schivato la critica aperta del popolo, e non lo farò nemmeno adesso! Che la gente mi dica le cose in faccia, così, da vicino, a un passo di distanza!
Mentre entrambi si perdono nella calca fragorosa della grande spiaggia, lì, sulla piccola terrazza della villa, il vice-ministro, con aria benevola, sta ascoltando la spiegazione del direttore dell’albergo, il quale si sta adesso rivolgendo a lui come al più anziano lì presente:
– Sa, se ne sono andati tutti, lei ora è il più vecchio qui, quindi come lei ordina …
– Va bene, va bene.
Il più vecchio! Il viceministro si gira intorno, guardando la terrazza quasi deserta, sprofonda nella poltrona di vimini e s’immerge in grandi sogni. Dapprima fantastica che sua moglie sia morta e che lui si sposi la cognata del ministro, quindi diventi ministro lui stesso, quindi presidente del Consiglio, quindi…
In simili fantasie, sembra, sono affondati anche altri due accanto a lui, ognuno per conto proprio, solo che nei loro sogni il ministro è finito in una qualche industria, e loro, sopravanzandolo di un gradino, salgono e vanno avanti.
Sogna un pochino anche la bella cognata, solo che, ahimè, non riesce a star tranquilla e a decidere chi diventerà suo marito. La scelta è così ampia e attraente, e lei, purtroppo, è una sola.
E la grande spiaggia strepita impetuosa, esulta, canta e, turbando i loro piani grandiosi, esprime fragorosamente piaceri e desideri accessibili a chiunque.
(1950)
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Note:
[1] Nella Jugoslavia socialista di Tito esistevano sulla costa adriatica jugoslava case vacanza/alberghi economici dove d’estate alloggiavano per pochi soldi o gratuitamente operai e gente comune di tutto il Paese ( n. d. t.)
[2] Il nomignolo che gli jugoslavi davano ai compagni dell’Unione Sovietica. Nel 1948 la Jugoslavia di Tito si staccò dal “blocco sovietico”, intraprendendo una via indipendente verso un socialismo autogestito (n.d.t.)
Aleksandra Ivić, nata a Smederevo (Serbia-ex Jugoslavia, nel 1972), laureata in Lingua e letteratura italiana presso l’Università di Belgrado e in Scienze dell’Educazione e della Formazione presso l‘Università di Padova. Organizzatrice degli eventi culturali, promotrice della letteratura e storia jugoslava, interprete e traduttrice. Scrive saltuariamente per il portale online Osservatorio Balcani e Caucaso sui temi attinenti alla cultura dei paesi ex-Jugoslavi. Vive a Padova.
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