La valenza simbolica della danza e il suo dialogo possibile con la natura
Il progetto Green Attitude del fotografo Raoul Iacometti
Redazione ZEST
In L’anima e la Danza, Paul Valéry interconnette i quattro diversi modi di essere del corpo: il Corpo uno, l’oggetto Mio-Corpo cioè quello spazio asimmetrico in cui le varie parti dialogano attraverso il cervello; il Secondo Corpo, quello che gli altri vedono, l’oggetto ritratto o specchiato, la visione della superficie; il Terzo Corpo che si manifesta nel nostro pensiero, il cui funzionamento complessivo ci appare ignoto; e il Quarto Corpo, o Corpo Reale oppure Corpo Immaginario, che non è nessuno degli altri tre, ma un oggetto insondabile che li comprende, una sorta di incarnazione dell’inesistente che si appropria delle possibilità di azione nello spazio del pensiero. La danza, essenza stessa del pensiero, libera da ogni vincolo linguistico e dialettico, può contenerli tutti.
La danza si avvale infatti di un sistema simbolico dinamico capace di tradurre in movimento altri linguaggi, e il corpo può tracciare nello spazio la sua unicità e oltrepassare i limiti della sua finitezza.
Quella di una danzatrice è un’esperienza spirituale capace di incarnare l’infinito nel finito; il tutto nel frammento di un tempo presente. Danzare, nel senso etimologico del termine (syn-ballein: mettere insieme, unire), è l’unificazione e l’attualizzazione tra un dentro e un fuori, tra l’interiorità e l’esteriorità.
Se la intendiamo come comunione e dialogo del danzatore con l’universo, la danza è espressione e celebrazione di un rapporto attivo con la natura, della persona con Dio; è partecipazione al movimento cosmico, con una capacità di restituire alla natura la delicatezza della sua gestualità rispettandone il ciclo, il tempo e lo spazio senza contaminarlo. Tra il danzatore e la natura si genera una forma di interazione biunivoca in grado di tradurre la capacità di spingersi dove si arresta la parola e di dischiudere un orizzonte, uno spazio aereo che un corpo che pensa può disegnare con il movimento, con la sua grammatica corporea. L’incontro mimetico di una danzatrice con la natura rende possibile, a un occhio sensibile all’ecologico, l’osservazione della stessa natura che danza.
Il fotografo milanese Raoul Iacometti ha intuito questa possibilità di dialogo tra danza e natura all’interno di serre e vivai, polmoni artificiali sparsi ovunque, oasi di un verde perenne che non conoscono stagioni, e con il suo linguaggio visivo ha unito i gesti umani della danza alla realtà che fiori e piante gli avevano suggerito durante due distinti momenti. Dapprima invitato a raccontare il verde durante Orticola 2008 mentre ascolta in cuffia Little Wing di Neil Young in loop, si muove tra i bancali e osserva il movimento delle piante e ha l’impressione che vadano a tempo con la musica; successivamente alla Civica Scuola di Danza di Sesto San Giovanni per ritrarre gli allievi, conosce Carlotta Bersani,una prima serie di immagini test. Qualche tempo dopo, gli incontri con Arianna Adero e con Marta Gerani, la prima insegnante al Centro Studi Coreografici Teatro Carcano a Milano, e la seconda ballerina del corpo di ballo del Teatro alla Scala di Milano, permettono all’artista di conoscere altri ballerini provenienti da tutte le realtà più prestigiose della danza mondiale (dal già citato Teatro alla Scala di Milano, all’Opera di Bordeaux, Parigi e Roma) e il progetto Green Attitude ha inizio. Iacometti concepisce dittici in bianco e nero, una scelta narrativa che gli permette di creare una inter-reciprocità tra le foglie e la postura delle gambe dei danzatori coinvolti, e out-take sia in bianco e nero che a colori.
L’interazione è assoluta, e il superamento del confine teatrale, quel palcoscenico off, quella dimensione fuori contesto favorisce la partecipazione totale dei danzatori che poggiano il movimento su un tappeto sonoro in sottrazione, un silenzio che lascia emergere solo i fruscii. Nel processo creativo, il fotografo suggerisce il movimento e il ballerino interpreta con il suo idioletto corporeo, coreografa l’aria improvvisando; la composizione totale della fotografia determina la posa definitiva. Se, come afferma Philip Ball nel suo saggio intitolato Colore. Una biografia, «l’esperienza cromatica costituisce una minaccia per l’Ego […] Il colore è la frammentazione dell’unità», Iacometti sceglie il bianco e nero per lasciare inalterata la pulizia e l’estetica del gesto corporeo, per far emergere le linee che nel colore si perderebbero, e anche per favorire una maggiore concentrazione del fruitore sui linguaggi, corporeo e naturale, e sulla loro interazione. In un sistema chiuso come può esserlo una serra, un contenitore concepito dall’umano per il vegetale, favorisce lo sconfinamento simbiotico tra i due elementi, un entaglement; perché l’incontro tra corpo ed elemento naturale è superamento dei reciproci confini, e l’organizzazione dell’immagine trasforma la loro relazione, generando una sorte di convergenza sincronica, una partnership sostenibile.
Per quanto astratti appaiano i movimenti, per quanto decontestualizzata sia l’azione coreutica, il corpo che la agisce non è più un corpo sociale, diventa corpo ecologico che compie certi gesti e non altri, risponde a una scrittura corporea precisa che segue certe posture e certi movimenti lineari e ritmici del corpo naturale. La danza può sicuramente scorrere per altri alvei, abitare altri sentieri, manifestarsi fuori dalle convenzioni rappresentative sacrali di un teatro, e nei luoghi della natura, seppure confinata in un sistema di crescita protetta come una serra o un vivaio, creare uno spazio intimo, un anfratto dell’ascolto, della contemplazione, e del silenzio che la potenza di un’immagine può fissare regalando l’esercizio alto della riflessione; perché danza e fotografia mirano entrambe alla ricerca spirituale, e la natura sembra essere il lieu d’union di questi due percorsi di elevazione. Le possibilità compositive di questo modo mimetico di comunicazione, la reciproca geometrizzazione, la possibilità di riprodurre direttamente e visivamente la relazione attraverso dittici sono gli aspetti più interessanti di questo progetto che si avvale di una modalità narrativa imitativa. La fotografia e il video permettono di estendere la vita dell’evento performativo, le opere diventano quasi indipendenti e non semplice documentazione, una metodologia operativa per un piano di conservazione di un mondo relazionale provvisorio.
Raoul Iacometti racconta Green Attitude
Green Attitude nacque nella mia mente nell’autunno del 2008, mentre camminavo tra i corridoi di una serra in periferia di Milano.
Passai un’intera giornata immerso nel verde, nel caldo artificiale di tende di plastica spessa e opaca e pareti di vetri appannati. Ero alla ricerca di qualche scatto adatto a completare un lavoro dal titolo “Di serra…”, esposto nei mesi successivi al Museo di Milano.
La maggior parte delle fotografie scattate riguardavano inquadrature in close-up: mi avvicinai molto a piante e fiori seguendone le forme armoniose e dolci, simili a corpi che posavano senza mai stancarsi, immobili in quell’unica posizione, in perfetta simbiosi con l’ambiente circostante. Poi spostai l’attenzione sulle strutture in ferro, sui corridoi di bancali e sulle pareti trasparenti, ma in quel momento non sembravano avere alcun collegamento con il mondo floreale, se non quello di protezione. Fu allora che l’idea di accostare fiori, piante e strutture alla danza arrivò in maniera naturale.
Al termine di quella giornata, dopo aver preso qualche appunto sulla mia agenda, abbandonai l’idea in attesa del momento giusto per realizzarla. Nel 2011, lavorando ad un reportage commissionato e dedicato ai corsi di danza classica e moderna a livello amatoriale finalmente “Green Attitude” prese forma e struttura.
In questo progetto la danza si fonde in maniera naturale con le piante e i fiori, all’interno e all’esterno di location che cambiano ogni volta: serre e vivai, polmoni artificiali sparsi ovunque, oasi di un verde perenne che non conoscono stagioni.
Il progetto è no profit e tuttora work in progress. Gli artisti che animano gli scatti fotografici sono Étoile, Prime/i Ballerine/i, Solisti e danzatrici e danzatori che lavorano nelle più importanti Compagnie di danza nazionali ed internazionali, quali Teatro alla Scala di Milano, Opéra National de Bordeaux ed altre ancora. Si alternano sui vari set dando forma ed armonia ai dittici fotografici.
Le location che ci ospitano nei loro spazi sono di varie tipologie: dalle classiche serre di diverse specie floreali a quelle a specifico indirizzo tematico, fino alle più moderne caratterizzate da tecnologia fotovoltaica o dai nuovi sistemi olandesi di movimentazione dei bancali, sui quali vengono disposte le piante e fiori.
È un lavoro unico, speciale, vissuto in ogni respiro, movimento e pausa, in ogni attimo di silenzio che lo accompagna.
Sono, e sarò, grato per sempre a chi ha voluto e desiderato partecipare a questo sogno che, nonostante sia passato del tempo ormai dal primo scatto, è rimasto tale, soprattutto grazie alla poesia dei suoi interpreti.
Riferimenti bibliografici e sitografici:
Clara Sinibaldi, “Essere e danza: il concetto fenomenologico e mistico di danza in Paul Valéry” in Annali di studi religiosi, 1, 2000 pp. 165-192, disponibile online qui
Ugo Volli, Il Corpo della Danza (Edizioni Osiride), disponibile online qui
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