Prima edizione italiana (a spese dell’autore stesso, con ingenti revisioni e modifiche apportate dal medesimo): 1896, Unione Tipografica Cooperativa, Perugia.
Edizione definitiva postuma francese: 1931, Fischbacher, Parigi.
Prima edizione italiana della versione definitiva: 1978, Mondadori, Milano Successive: 2009, Porziuncola, Assisi; 2015, Calstelvecchi, Roma.
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La Vita di San Francesco di Paul Sabatier non è ascrivibile alla tradizione agiografica, al contrario: allievo di Renan, privilegiò un approccio storico/biografico di tipo scientifico, prestando particolare attenzione da una parte all’esegesi delle fonti dirette e indirette, dall’altra al calare la nota vicenda (aneddoti leggendari compresi) nel suo preciso contesto – XII secolo a.c. – culturale, geografico, economico e religioso – quest’ultimo particolarmente turbolento e di difficile gestione, si pensi ai Catari in primis (ma non si dimentichino gli orrori di Fra Dolcino di cui l’Italia di lì a poco sarebbe stata teatro).
Ma a essere fonte di disagio e delegittimazione per l’Ecclesia era qualcosa di più radicale e strutturale: lo scollamento che si stava consumando tra i membri dell’Ordo sacer e il popolo, una dilagante discrasia che non poteva essere semplicemente compendiata dall’immagine della crassa crapula del chierico paffuto opposta allo spoglio desco dello stentato contadino; che in modo molto più preoccupante per i potenziali esiti disgreganti – e le intelligenze curiali dell’epoca ne erano ben consapevoli – si sostanziava nella più assoluta incomunicabilità tra i due mondi: lo iato tra il popolo e i chierici. La parola liturgica era divenuta parola morta, che non faceva più presa sul mondo, perché mai incarnata nella testimonianza; il sacramento una cerimonia (non di rado tassello di più ampi festeggiamenti sincretistici e pagani).
Per comprendere la grande fortuna – nonché l’impatto poderoso e incisivo – che ebbe Francesco non ci si più limitare a considerare la sua straordinaria personalità: egli interpretando il cristianesimo come imitatio Christi, predicando la povertà («la donna sua più cara») e una versione radicale del vangelo («lascerai il padre e la madre e i fratelli»); oltre a fare grande opera di proselitismo ed evoluzione spirituale, più o meno consapevolmente, fu strumentalizzato proprio dalla curia, usato e manovrato come anello di ricongiunzione con il popolo sempre più inquieto e battagliero: fu anche grazie all’umile volto dell’assisiate, alle sue vesti logore, alle sue mani operose, al suo percorrere sentieri di collina con i pecorai, dividendo con loro giaciglio e pane, che la Chiesa tamponò le forze centripete che minacciavano di farla crollare. Tutto questo in alcun modo inficia l’opera di Francesco, ma è un misero esempio di come le dinamiche storiche siano complesse e aggrovigliate e di come non si possa far biografia prescindendo dal contesto.
Charles Paul Marie Sabatier (Saint-Michel-de-Chabrillanoux, 3 agosto 1858 – Strasburgo, 4 marzo 1928) fu pastore calvinista e questo rende ancora più curioso l’impegno profuso nella stesura di un testo avente per soggetto uno dei santi cattolici per eccellenza. Il testo fu edito per la prima volta a Parigi nel 1893 (la prima edizione italiana è del 1896), gli valse la candidatura al premio Nobel per la letteratura nel 1901, il Gran Premio dell’Accademia delle scienze morali e politiche di Parigi, la nomina ad Accademico dei Lincei a Roma, uno sterminato numero di dottorati honoris causa.
La scrittura è di ottima qualità: meticolosa, precisa, mai ridondante; per poi partire d’improvviso con rapide pennellate suggestive che illustrano un paesino, una valle, un bosco. Memorabili poi gli slanci mistici: «il Dio che passa dice il suo nome solo a quelli che lo fermano e gli fanno violenza per saperlo. Non benedice che dopo lunghe ore di lotta» – «Santi, cioè violenti che hanno forzato le porte del cielo» – «Il favore chiesto da Francesco era enorme, ma tutto spirituale, e ascoltando il “Poverello”, il Pontefice poté udire nella sua voce l’amore dei violenti che rapiscono il regno dei cieli».