di Paolo Risi |
Aspettò, poi andò alla porta, la aprì e uscì sulla veranda. Si chiuse la vestaglia alla gola. L’aria era umida e fredda. Le cose stavano diventando visibili per gradi. Lasciò che i suoi occhi vedessero tutto, poi li fermò, come ipnotizzata, sulla luce rossa e ammiccante in cima alla torre della radio sulla collina di fronte. (Raymond Carver, dal racconto “La moglie dello studente” in Vuoi star zitta per favore?)
L’antologia di racconti “Vuoi star zitta per favore?” esce negli Stati Uniti nel 1976. È il resoconto di vite che tenacemente cercano di mantenersi dentro un perimetro di normalità. E la normalità sfugge, si fa desiderare o tende a trasfigurarsi. Vicende biografiche, messe su un vetrino e scrutate, un po’ fiutate nell’aria, quella appestata dei salotti nicotinici, dei cocktail bar, quella vetrosa e tersa che si respira alle prime luci dell’alba. I racconti di Raymond Carver (1938-1988) contengono tutto questo, ma non solo naturalmente, interpretano anche l’immagine custodita e rielaborata, finalmente in superficie, i simboli, le mani tremanti di un suo idolo letterario, John Cheever, deciso a bere a rotta di collo facendosi beffe della morte, la sguardo di Jack London dalla veranda di casa, un ranch che dista poche miglia dal centro di recupero dove un riluttante Carver sta provando a disintossicarsi dall’alcol.
I tentativi di rimettersi in piedi scandiscono gli anni dedicati all’ambizione, al disfacimento della propria vita, gli anni ’70 in cui lo scrittore americano coltiva il sogno più estremo, quello appunto di essere riconosciuto come un bravo scrittore e poeta, una persona comune che prova semplicemente a dare il meglio di sé, ambizione che si aggroviglia alla realtà, quella che vede Raymond identificato al solito come un bugiardo, come l’inaffidabile, irresistibile e a volte minaccioso ubriacone del quartiere.
La pubblicazione di “Vuoi star zitta per favore?” rappresenta uno spartiacque esistenziale: su entrambi i versanti una vegetazione infestante, alcolismo, debiti, il fallimento come marito e padre, ma appunto l’uscita del suo primo libro di racconti, per la casa editrice McGraw-Hill, e un successivo anticipo di 5000 dollari, inaugurano il declivio favorevole, la direzione incontaminata che sul fondovalle custodisce l’evento cruciale, così descritto e immaginato da Carol Sklenicka, autrice della biografia “Raymond Carver – Una vita da scrittore” edita in Italia da Nutrimenti.
Ray diceva di amare questa frase di Lawrence Durrell: “Oggi il mare è ancora agitato, con corroboranti eccessi di vento”. Forse ne amava la prosodia e il suono frusciante, ma sicuramente anche la promessa di un inizio nuovo e incorrotto. Il 3 giugno 1977 […] fu quella mattina tanto sospirata. Si alzò e non bevve niente di alcolico. Si astenne anche il giorno dopo. I giorni si accumulavano. Stava malissimo, ma poteva dire, “alcolizzato lo sarò sempre, ma non sono più alcolizzato praticante”.
Il 5 giugno, Ray batté a macchina una lettera per ringraziare Hills (il suo editore) che aveva avuto fede in lui. “Grazie a Dio, le cose si stanno aggiustando, i pezzi nella mia vita si stanno rimettendo insieme”.
Questa volta aveva ragione.
Difficile dire se a quarant’anni di distanza i racconti di “Will You Please Be Quiet, Please?” proiettino inalterato lo stesso sgomento, la medesima carica disturbante. Di certo rimane attivo il nucleo impetuoso di quelle storie, la completa dedizione dello scrittore americano ai suoi personaggi, ai destini di una compagine sociale apripista delle epoche a venire, gli anni ottanta e il neoliberismo come tragica “scienza esatta”.
La valenza premonitrice di “Vuoi star zitta per favore?” pulsa incessante nell’insoddisfazione cronica, nelle schermaglie di coppia e generazionali, nel lavoro parcellizzato, nella socialità disattesa. L’indefinibile anelito, la comprensione che si rivela all’improvviso, si manifestano nel giogo delle esistenze ansimanti, disilluse, ed è questa l’emulsione che regge allo scorrere del tempo, che rimane incorrotta.
Tutto quello che lo scrittore americano pubblicherà dopo “Vuoi star zitta per favore?” gradualmente assumerà un tono più lirico, misericordioso, prevederà la possibilità per i suoi personaggi di comunicare realmente, di fare scelte consapevoli e armoniose. Nato poeta, Carver ritornerà ad essere poeta (dal 1984 al 1987 pubblicherà ben dodici raccolte di poesie) inseguendo con sempre maggiore caparbietà, fino alla fine, la ricerca della parola illuminante, del sentimento che giustifica l’esistenza di una storia.
Se siamo fortunati, non importa se scrittori o lettori, finiremo l’ultimo paio di righe di un racconto e ce ne resteremo seduti un momento o due in silenzio. Idealmente, ci metteremo a riflettere su quello che abbiamo appena letto o scritto; magari il nostro cuore e la nostra mente avranno fatto un piccolo passo in avanti rispetto a dove eravamo prima. La temperatura del nostro corpo sarà salita, o scesa di un grado. Poi, dopo aver ripreso a respirare normalmente, ci ricomporremo, non importa se scrittori o lettori, ci alzeremo e, “creature di sangue e nervi” come dice un personaggio di Checov, passeremo alla nostra prossima occupazione: la vita. Sempre la vita. (Raymond Carver, dalla prefazione alla raccolta “Da dove sto chiamando”).